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In Breve

| 15 ottobre 2022, 09:30

"Vado a studiare fuori": gli inizi di una vita fuori sede

Gli studenti fuori sede hanno ormai iniziato le loro lezioni all'università, l'anno accademico è ufficialmente partito: controindicazioni e spunti di riflessione

"Vado a studiare fuori": gli inizi di una vita fuori sede

Negli ultimi anni, con sempre maggiore frequenza e facilitati dal processo di globalizzazione onnicomprensiva che ci riguarda (chissà se è sempre un bene), i diplomati finite le scuole superiori sognano e spesso decidono di fare l'università fuori, in città diverse dalla loro. Sembra un gioco da ragazzi, i genitori si abituano all'idea perché tanti ormai lo fanno, compagni, amici, cugini, sembra facile. Messi da parte risparmi per mantenere un figlio lontano da casa (ed è chiaramente un impegno economico molto forte), si parte per questa avventura, dietro a cercare stanze o case condivise, condizioni di vita accettabili, abbonamenti del tram e mense universitarie convenzionate. 

È un'esperienza entusiasmante, la prima, per molti, davvero fuori dalle mura domestiche. Quali sono i retroscena?

Spesso questi ragazzi e ragazze partono molto bene. Seguono le lezioni religiosamente, si sentono di avere il compito di portare avanti la loro carriera di studi nel migliore modo possibile per ripagare degli sforzi fatti dai genitori. Ma in tutto questo come vivono l'ambiente? Il nuovo, lo sconosciuto? E come affrontano la solitudine?

Bisogna fare attenzione a questo passaggio delicato: i ragazzi che hanno desiderio di realizzare un progetto di studio fuori casa non è detto che sappiano gestire tutti i movimenti emotivi che questo comporta.

Pensiamo di metterci nei loro panni: faranno i conti con un forte senso della prestazione condito dal vuoto. Se prima avevano amici e parenti vicini ora esplorano un mondo dove non hanno niente. Avranno bisogno di appartenere, di categorizzare ciò che hanno attorno per sentirsi sempre meno estranei e sempre più integrati.

Avranno bisogno soprattutto di qualcuno di esterno che verbalizzi loro questa fatica. 

E poi la solitudine. Molti soffrono di una solitudine immensa, trovano qualche amico tappabuco, ma prima di costruire davvero un legame, visto che hanno bisogno di sentirsi tranquilli e "a casa" per farlo, ci mettono tempo. A volte preferiscono proprio evitare, per svicolare dalla frustrazione e dal rischio di non trovare nessuno di simile a loro.

Questi primi momenti sono cruciali per la loro crescita: sentirsi soli e sentire un vuoto, uno spaesamento, e trovare il loro modo per riempirlo è qualcosa che li aiuterà e li proteggerà tante volte nella vita. Ma non tutti ci riescono ed entrano in circoli viziosi di serate fino a tardi, non seguire più le lezioni, sentirsi in colpa e non riuscire a fare diversamente. E così fare passare i mesi, alle volte gli anni. 

Che i genitori siano pronti ad aiutarli a fronteggiare quello spaesamento e quel vuoto, è un ottimo presupposto. Che offrano strategie, suggerimenti, punti di vista, e anche semplicemente ascolto, diventa salvifico. E rende questo processo costruttivo per la personalità dei ragazzi.

Spesso sarebbe utile provare a immaginare, non solo affidarsi alle parole dette. Diventa centrale mettersi nei loro panni e provare a sentire la loro stessa  fatica nel creare in autonomia un'appartenenza.

Questo li farà sentire meno soli e farà loro percepire che, comunque vada l'esperienza fuori, anche a molti chilometri di distanza hanno sempre un posto sicuro, nella mente di chi li pensa.

Cristina Fregara

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