Ogni domenica 'La Voce di Genova', grazie alla rubrica ‘Gen Z - Il mondo dei giovani’, offre uno sguardo sul mondo dei ragazzi e delle ragazze di oggi. L'autrice è Martina Colladon, laureata in Scienze della Comunicazione, che cercherà, settimana dopo settimana, di raccontare le mode, le difficoltà, le speranze e i progetti di chi è nato a cavallo del nuovo millennio.
Negli ultimi anni, il mondo del lavoro e dell’istruzione ha vissuto un cambiamento senza precedenti. La pandemia ha costretto aziende e università a rivedere completamente il modo in cui operano, introducendo soluzioni digitali che fino a quel momento sembravano lontane o poco praticabili. Lo smart working e la didattica a distanza sono diventati la norma, garantendo continuità in un momento di crisi e dimostrando che, con la tecnologia giusta, era possibile lavorare e studiare ovunque.
Eppure, con la fine dell’emergenza, molte aziende e istituzioni hanno fatto marcia indietro. Il ritorno alla normalità è stato spesso interpretato come un ritorno alla presenza fisica a tutti i costi, senza considerare che il lavoro e lo studio a distanza non erano solo un piano B, ma per molti una vera e propria rivoluzione positiva. Certo, tornare a socializzare in ufficio e in aula ha i suoi vantaggi: il contatto umano resta fondamentale, e in alcuni casi la presenza fisica facilita il confronto e l’apprendimento. Ma è innegabile che la possibilità di lavorare e studiare da casa offriva una flessibilità impagabile.
Per molti lavoratori, lo smart working ha significato una migliore gestione del tempo e un miglior equilibrio tra vita professionale e privata. Chi prima passava ore nel traffico per raggiungere l’ufficio ha scoperto il valore di giornate più lunghe e meno stressanti, mentre le aziende hanno risparmiato su spazi e costi di gestione. Senza contare che per alcune categorie, come i genitori con figli piccoli o le persone con disabilità, il lavoro da remoto ha rappresentato una vera svolta in termini di accessibilità e qualità della vita. Lo stesso discorso vale per gli studenti universitari: poter seguire le lezioni da remoto ha permesso a molti di ottimizzare il proprio tempo, di conciliare studio e lavoro e, per chi vive lontano dalle grandi città, di avere accesso a opportunità che altrimenti sarebbero state difficili da sfruttare.
Eppure, nonostante questi vantaggi, in molti ambienti si è tornati rigidamente al modello tradizionale. Nel mondo del lavoro, alcuni datori di lavoro vedono lo smart working come una perdita di controllo sui dipendenti, temendo un calo della produttività. Nel contesto universitario, molti docenti credono che la didattica in presenza sia più efficace e garantisca una maggiore partecipazione. Ma è davvero così? Non si può negare che lo smart working e la didattica a distanza abbiano avuto anche delle criticità. Alcune persone hanno sofferto la mancanza di un ambiente di lavoro strutturato e il senso di isolamento, mentre la DAD ha messo in evidenza il divario digitale tra chi aveva gli strumenti adeguati e chi no. Tuttavia, il problema non era il sistema in sé, ma la mancanza di un’organizzazione efficace. Se si fosse investito di più in piattaforme intuitive, formazione per docenti e lavoratori e soluzioni per evitare la dispersione degli studenti, probabilmente oggi non si parlerebbe della DAD solo in chiave negativa.
Inoltre, c’è un’altra questione: il cambiamento delle abitudini. Durante il lockdown, molte persone si sono abituate a un diverso ritmo di vita, meno frenetico e più focalizzato sulle proprie esigenze. Tornare a orari rigidi, spostamenti lunghi e giornate interamente passate fuori casanon è stato semplice per tutti. Lo smart working e la DAD avevano aperto la strada a un modello più flessibile, eppure, in molti casi, si è scelto di tornare al passato invece di cercare un compromesso.
In altri paesi, le aziende e le università stanno adottando modelli ibridi, cercando di bilanciare la presenza fisica con la flessibilità del digitale. Questo potrebbe essere il compromesso ideale: permettere a chi ne ha bisogno di continuare a lavorare o studiare da remoto, senza escludere l’importanza della presenza fisica quando necessaria. La pandemia ci ha insegnato che il cambiamento è possibile. Sarebbe un peccato ignorarlo e tornare semplicemente a come era tutto prima, senza valorizzare ciò che di buono questo periodo ci ha lasciato.