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Economia | 18 dicembre 2025, 16:59

Retribuzioni in Liguria, l’Osservatorio Uil evidenzia salari bassi e disuguaglianze strutturali: donne e giovani i più penalizzati

La retribuzione media è ferma a 24.196 euro, il potere d’acquisto in calo di 6,5 punti dal 2019 e divari crescenti di genere e generazionali

Retribuzioni in Liguria, l’Osservatorio Uil evidenzia salari bassi e disuguaglianze strutturali: donne e giovani i più penalizzati

È stato presentato questo pomeriggio l’Osservatorio sulle retribuzioni della Uil Liguria, curato dall’Ufficio politiche del Mercato del Lavoro e da Data Lab Uil Liguria, sotto il coordinamento della segretaria confederale regionale Roberta Cavicchioli. Un’analisi approfondita che restituisce l’immagine di una regione in cui salari bassi, disuguaglianze di genere e divari generazionali continuano a pesare in modo strutturale sul mercato del lavoro.

Il dato di partenza è quello della retribuzione media annua delle lavoratrici e dei lavoratori liguri, che si attesta a 24.196 euro. Una cifra che conferma un lieve trend di crescita rispetto agli anni precedenti, ma che risulta interamente erosa dall’inflazione. Dal 2019, infatti, il potere d’acquisto in Liguria ha perso 6,5 punti percentuali. Un impoverimento generalizzato che colpisce in modo più marcato i lavoratori a basso reddito, in particolare giovani e donne. I dati Inps delineano così una regione che fatica a essere attrattiva e inclusiva per queste fasce della popolazione. L’indagine dell’Osservatorio prende in esame 439 mila lavoratrici e lavoratori del settore privato, su circa 600 mila occupati complessivi, in un territorio che conta 1,5 milioni di abitanti.

"Proponiamo di dare vita all’Osservatorio sulle retribuzioni in Liguria per comprendere meglio le dinamiche occupazionali che stanno svuotando la regione", spiegano Riccardo Serri, segretario generale Uil Liguria, e Roberta Cavicchioli, segretaria confederale regionale. "È imperativo individuare le leve giuste per trattenere i giovani e favorire una maggiore inclusione lavorativa delle donne, per evitare un ulteriore impoverimento del tessuto imprenditoriale. Serve una visione integrata che ripensi il patto sociale in un’ottica di continuità intergenerazionale e di solidarietà tra i generi, garantendo il necessario turn over. In una regione anziana come la Liguria questo è ancora più importante".

L’Osservatorio conferma come donne e giovani risultino le categorie più penalizzate. Il Rendiconto di Genere 2024 dell’Inps evidenzia che, nei settori analizzati, i dipendenti uomini del settore privato percepiscono redditi medi giornalieri superiori rispetto alle colleghe. Le donne che accedono a contratti da dirigente rappresentano appena il 21,1%, contro il 78,9% degli uomini, a dimostrazione di come il mondo delle posizioni apicali e manageriali resti prevalentemente maschile.

Il part time è un altro elemento chiave della disparità: riguarda il 52% delle donne, a fronte di meno del 20% degli uomini. Il gender pay gap nel settore privato si attesta intorno al 33,3%. In termini concreti, a fronte di un reddito annuo di 28 mila euro per un uomo, una donna si ferma mediamente a 18 mila euro. Le retribuzioni femminili risultano fortemente penalizzate dal part time involontario e da scelte obbligate di disinvestimento sulla carriera.

Nel 2025 i settori con il più alto divario retributivo di genere sono quello immobiliare, con un gap del 39,9%, seguito dal comparto scientifico e tecnico con il 35,1% e da quello finanziario-assicurativo con il 32,1%. Anche nella Pubblica amministrazione, dove formalmente il gender pay gap non dovrebbe esistere, persiste il fenomeno del soffitto di cristallo: secondo l’Istat si attesta al 5,2%. Le donne restano sottorappresentate nei ruoli dirigenziali e permangono disparità salariali anche a parità di mansione e caratteristiche individuali.

Uno scenario analogo emerge nel lavoro autonomo. Il rapporto di Confprofessioni “Le priorità strategiche per la parità di genere nelle libere professioni” segnala che tra il 2009 e il 2023 il numero delle professioniste è aumentato del 49%, ma con redditi inferiori rispetto ai colleghi uomini del 46%. Questo squilibrio si riflette anche sul piano previdenziale: il Rendiconto di Genere 2024 dell’Inps evidenzia come la discontinuità dei percorsi professionali renda più difficile per le donne, fatta eccezione per la Pubblica amministrazione, raggiungere i requisiti per la pensione di anzianità, costringendole ad attendere l’età della pensione di vecchiaia.

Nei ruoli apicali la presenza femminile resta limitata: le donne rappresentano il 19% tra dirigenti e top manager e il 31% tra i quadri. Nei consigli di amministrazione delle società quotate la quota femminile ha raggiunto il 43,2%, ma si tratta spesso di una presenza formale: solo il 16,9% delle donne nei CdA ricopre ruoli esecutivi e appena il 2,3% è amministratrice delegata.

Accanto al divario di genere, pesa fortemente anche quello generazionale. L’age pay gap tra under e over 40 arriva al 36,2%. Stipendi bassi, precarietà e scarse prospettive di crescita spiegano perché molti giovani scelgano di lasciare l’Italia. In quattro anni le retribuzioni giovanili si sono ridotte del 23% e in Liguria il fenomeno dei giovani expat è in aumento. Complessivamente, gli stipendi dei giovani sono in calo del 17%, ampliando ulteriormente la distanza rispetto ai lavoratori cinquantenni. Il divario resta sostanzialmente invariato nel tempo, segno che l’avanzare dell’età non garantisce automaticamente un miglioramento salariale. A questo si aggiunge il tema della sottoccupazione: il Trattato di Lisbona fissava al 60% il tasso di occupazione femminile per l’Italia, ma a distanza di 19 anni il dato si ferma al 52%.

In questo contesto, insomma, meglio non essere giovani e donne", concludono Serri e Cavicchioli. "Le ricadute coinvolgono anche le famiglie con figli giovani adulti a carico e producono un effetto depressivo sull’intero sistema retributivo per classi d’età. Giovani e donne sono intrappolati in contratti precari e l’eccessiva flessibilizzazione del mercato del lavoro, insieme alla crescente discontinuità occupazionale, non fa che alimentare la povertà lavorativa”.


 

Redazione

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