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Sanità | 06 marzo 2019, 14:00

L’educatrice perinatale a Genova, Claudia Terzolo: “Il vero femminismo è in sala parto”. Eppure il termine “vagina” è ancora un tabù

Claudia Terzolo è una delle rarissime educatrici perinatale presenti a Genova. E insegna anche a fare ginnastica pelvica. Ci ha spiegato il ruolo "politico" della sua professione, e come ancora ci siano termini tabù e poca consapevolezza del proprio corpo

Claudia Terzolo

Claudia Terzolo

Fare “politica”, nel senso più nobile e originario del termine, significa occuparsi dei cittadini. I nascituri sono i cittadini di domani e per loro e le loro mamme esiste una figura professionale ancora poco conosciuta – a Genova si contano sulle dita di una mano – che è quella dell’educatore perinatale. A farlo è Claudia Terzolo, laurea in Scienze politiche e specializzazione in Educazione perinatale e ginnastica del pavimento pelvico. Perché "il femminismo è in sala parto" prima di tutto ed è “partendo dal basso e dalla prevenzione” che si migliora la vita della donna e quindi della società. Che però, almeno in Italia, è piena di tabù: mentre in Norvegia ci si laurea in Designer dei sex toy, nel nostro Paese le ragazzine non riescono nemmeno a pronunciare la parola “vagina”.

Quando nasce la figura dell'Educatore perinatale?

In Europa esiste da 60 anni, specie in Inghilterra, mentre in Italia nasce nel 1986 col Mipa; oggi si inizia a parlarne, anche se i corsi sono quasi nella maggioranza dei casi seguiti dalle ostetriche. Sarebbe invece bello poter collaborare, tra professionisti diversi, visto che l’obiettivo comune è il benessere della donna. In Inghilterra ostetrica, educatrice e doula lo fanno. Sono anche doula, appunto, per completare la mia formazione.

Come sei diventata educatrice perinatale?

Sono laureata in Scienze Politiche, perché ho sempre pensato di dover fare “politica” attraverso la sensibilizzazione e l’informazione. Così dopo ho seguito il corso del MIPA, Movimento Italiano del Parto Attivo, creato da Piera Maghella, e poi mi sono specializzata all’Università di Padova in Educazione prenatale e neonatale. E prima ancora ho seguito il corso da insegnante del pavimento pelvico, col metodo che si chiama Perineo Integrazione e Movimento. L’Educatore Perinatale è una figura di sostegno e supporto sociale che si pone accanto alle mamme e ai papà.

Per questo possiamo dire che ha una funzione “politica”?

Effettivamente se ci pensi è così. L’educazione alla maternità, capire come viverla, cosa c’è dietro, e auspicare una buona nascita al bambino, è la cosa più bella che si possa desiderare, specie in Italia, il paese della famiglia per eccellenza, dove però non c’è abbastanza sostegno. Pensiamo ai nuclei famigliari di oggi: sono spesso disgregate per motivi di lavoro; quando nasce un bambino la mamma resta sola, proprio nei 40 giorni del puerperio, quando invece avrebbe bisogno del sostegno della madre o di un’amica. Poi c’è l’ansia per la ripresa del lavoro: si possono subire pressioni per il rientro, quando invece si potrebbe voler stare ancora a casa e creare un attaccamento maggiore col bambino. Se non è politica questa! E come vive oggi la maternità una donna? Con fatica. Qualcosa si muove negli ospedali e nelle sale parto c’è un ottimo personale, ma c’è ancora tanto da fare. E la maggior parte dei ginecologi è costituita da uomini: eppure il parto è donna! Michelle Odent dice che da quando l’uomo è entrato in sala parto ha portato uno sconvolgimento e anche la chirurgia, che è fondamentale quando il cesareo salva la vita, ma in alcuni casi se ne potrebbe fare a meno. Bisognerebbe tornare a un parto più umano, che non vuol dire senza assistenza, ma con più empatia e ascolto: cose che richiedono calma e tempo, che oggi non penso ci siano negli ospedali. Quindi quello che faccio è cercare di creare piccoli gruppi, con le ostetriche, che spiegano le fasi del parto. Ci sono ottimi corsi pre-parto, ma in ospedale non si ha la stessa opportunità del piccolo gruppo con l’ostetrica solo per te.

A proposito di piccoli gruppi, con la doula Francesca Baroncelli avete creato quello della “Collana del parto”.

Sì, l’abbiamo pensata come strumento d’aiuto. Sono venute due mamme di oltre 60 anni perché avevano voglia di fare sapere che cosa avevano passato: il ricordo del forcipe, per esempio, è molto traumatico. Le perline colorate, che coinvolgono tutti i sensi e hanno una tattilità specifica, hanno così curato le loro ferite. Una di loro ha indossato la collana dicendo che era come una medaglia, perché per la prima volta si è sentita importante. Forse nel suo percorso non ha mai potuto parlarne, perché non c’era la cultura, mentre nel gruppo ha trovato un’opportunità. Nessuna non lo ricorda e non ce n’è nessuna che non ne voglia parlare per niente. Ci sono stati racconti anche bellissimi, ma ognuna ha la necessità di ripercorrere quel momento. E se non è il parto è l’allattamento: sono momenti fondamentali. Anche questa è politica e fa parte di come le donne riescono a vivere la maternità.

Questo si lega anche alle “violenze” in sala parto.

Infatti parliamo di femminismo ed emancipazione: il vero femminismo è in sala parto, secondo me. Oggi ci sono ancora tante donne che dicono di essere sgridate in quel momento: c’è tantissimo lavoro da fare sul puerperio. Esiste ancora il Movimento Parto Attivo perché, appunto, la donna sia realmente consapevole delle proprie risorse emotive e sociali e della capacità di partorire, perché così possa tornare protagonista attiva in senso fisico, ma anche in senso psicologico. Deve pensare, infatti, che è lei a partorire, mentre gli altri, ginecologo e ostetrica, sono un aiuto. Invito le ostetriche a partecipare ai miei corsi - e magari avessero più potere nella sala parto – ma tante donne mi dicono che hanno perso fiducia, hanno paura del dolore, di affrontare il momento del parto. Il mio compito quindi è tirar fuori le loro risorse.

Quanti educatori perinatale ci sono a Genova?

Educatrici perinatale formate al MIPA come me, si contano su una mano, saremo forse in due, mentre sono soprattutto le ostetriche a fare i corsi di aggiornamento. Anche le doule sono molte di più. Sono figure complementari, e infatti sono diventata anche doula per completarmi. Sogno una società in cui le varie figure collaborino, perché le competenze diverse portano ricchezza. E l’importante è avere chiaro il limite delle proprie competenze: io non posso spiegare il parto come può fare un’ostetrica, e non penso certo di entrare in sala parto e fare partorire una donna. Ho scelto educazione perinatale perché volevo fare informazione sulla maternità e sensibilizzare. C’è tanto bisogno di ascoltare le donne: è sempre una ricchezza grandissima e ho tanta fiducia in loro e anche in tanti papà. Infatti nei cerchi e nei corsi che facciamo puntiamo molto su di loro: gli uomini sono affascinati dalla maternità e se hai fiducia in loro ti ripagano.

Fai anche corsi di ginnastica per il muscolo pelvico: è collegata al periodo perinatale?

Anche nella maternità il muscolo pelvico è importante. Sono laureata in Scienze politiche, ma anche questa professione che svolgo è fare politica, è occuparsi della cosa pubblica cercando di cambiare le cose partendo dal basso. Avere una buona nascita e poter parlare di parto è importante.

Possiamo definire il muscolo pelvico come "questo sconosciuto"?

Sì. Ho avuto l’onore di essere chiamata a Oslo per parlare del pavimento pelvico delle donne italiane: volevano saperlo perché stavano progettando un dispositivo per fare ginnastica attraverso un’app, per cui mi hanno chiesto come le italiane vedono questa ginnastica e se conoscono o meno questo muscolo. All’estero ci vedono come dei conservatori in fatto di sesso. In Norvegia c’è la laurea specialistica in Design dei sex toy, mentre di solito qui non si osa nemmeno dire “vagina”: spesso sento le ragazzine usare l’espressione “là sotto”. E se pronunci la parola, si vede uno sguardo di terrore, come se fosse una cosa che a loro non appartiene. C’è tanto tabù, e sembrerà strano, ma sono più le donne tra i 50 e 65 anni a venire da me. Le giovanissime se non hanno una problematica non vengono affatto e quando lo fanno è con imbarazzo assoluto.

Quindi occorre consapevolezza del proprio corpo, prima di tutto.

Infatti ho iniziato un corso sulla consapevolezza corporea: partecipano donne di 50 anni di media, e donne che a 60 anni dicono di aver scoperto di avere questo muscolo. In realtà i tre quarti della popolazione femminile non sa usare il muscolo pelvico. E 3 donne su 7, anche giovanissime, soffrono di problematiche al pavimento pelvico, il che vuol dire dolori nei rapporti e vulvodinia, che stanno diffondendosi. Forse questo accade anche a causa della mancanza di consapevolezza, per cui cerco di fare prevenzione.

Che tipologia di donne viene da te? E ci sono anche uomini?

Chi viene da me o ha curiosità di intraprendere questo percorso o riscontra di avere una difficoltà, per cui la ginecologa le ha suggerito di fare la ginnastica che eserciti il muscolo pelvico e di fare un percorso di consapevolezza. C’è anche il comparto maschile, ho due uomini di 60 anni che vengono a fare ginnastica per migliorarsi. 

Sono molte le persone che vengono a fare ginnastica pelvica?

Stanno aumentando. Io ne parlo sempre, anche nei centri yoga: porto il bacino osseo per spiegare concretamente di che cosa si tratti, loro si informano e poi vengono. Non basta dire “pavimento pelvico”, devi fare esempi e prove gratuite. E’ difficile comunque fare prevenzione. Normalmente è il ginecologo a suggerire la ginnastica quando si ha già una magagna, e le ostetriche fanno riabilitazione a persone con diagnosi, per esempio, di incontinenza e prolassi, mentre io ho sempre avuto tantissimi gruppi di donne grandi perché magari vedono lo spot sull’incontinenza e così, per prevenire, decido di fare la ginnastica pelvica. La giovane di 20-25 anni non ci pensa minimamente, eppure l’età dei primi rapporti si è abbassata. Bisogna iniziare dalla consapevolezza, con la diffusione delle buone pratiche a partire dalla scuola. Anche questa è cosa pubblica. 

Medea Garrone

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