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Cultura | 08 marzo 2019, 13:00

Matteo Monforte: "Vi racconto la mia Genova noir, ma facendovi ridere"

Presentato da Feltrinelli il terzo romanzo della trilogia dedicata a Martino Rebowsky: "La vanità dei pesci pulitori" di Matteo Monforte. E lo abbiamo subito intervistato

Matteo Monforte: "Vi racconto la mia Genova noir, ma facendovi ridere"

Ha appena presentato il nuovo romanzo, “La vanità dei pesci pulitori” (Frilli Editore), un giallo-ironico, che promette di farci molto ridere. E non a caso, perché si tratta di Matteo Monforte, autore dei testi dei comici genovesi del momento, come Lastrico e Ornano - e non solo – che ha pubblicato, appunto, il terzo romanzo della trilogia che vede protagonista Martino Rebowsky, il musicista poco talentuoso,  grasso e sempre inadeguato - ma vanitoso - alle prese con una vicenda un po’ surreale, come in “Una notte da leoni” (ma senza essere come Bradley Cooper).

Insomma, un noir che non poteva che essere ambientato a Genova, - “città del giallo, perché oscura e segreta” -, ma in un’epoca che, per i quarantenni d’oggi, sarà evocatrice di quella degli anni Novanta, “dei locali che non ci sono più, come il Fitzcarraldo” e “quella dei Meganoidi e dei Cavalli Marci”.

Partiamo dal titolo, che è molto curioso…

Nasce da un servizio in cui si parlava dei pesci pulitori, quelli che nell’acquario sono destinati a mangiare gli escrementi e gli scarti degli altri per tener pulita l’acqua. Sono anche gli unici al mondo in grado di riconoscere la propria immagine riflessa nello specchio e sono anche vanitosi, perché a loro piace specchiarsi. Quindi il contrasto tra l’essere spazzini del mondo sommerso, ma anche vanitosi, mi ha fatto pensare che sono come il mio protagonista, che è un “ultimo”, ma molto vanitoso.

Questo è l’ultimo di una trilogia, dopo Come siamo caduti in basso, Oscar e La Genova male: perché una trilogia? Ci sarà un seguito?

In realtà è anche un romanzo a se stante, è come se fosse un’opera prima per chi non avesse letto i precedenti. Sicuramente ci sarà un quarto libro, anche perché l’editore me l’ha chiesto e il prossimo anno dovrebbe già uscire. Il protagonista,

Martino Rebowsky, richiama, nel nome, Lebowski, ma a chi altro ti sei ispirato per crearlo?

Volevo avesse un nome particolare, perché rimane meglio impresso, e ho scelto un cognome polacco pensando a Bukowski, il Grande Lebowski e Monica Lewinsky! Poi, essendo un “ultimo” che frequenta gli “ultimi”, come prostitute e beoni, sembra vivere nella Genova che richiama quella di De André. Martino, poi, è un investigatore un po’ surreale: il Tenente Colombo sembra sempre sbagliare pista, ma poi imbocca quella giusta. Stiamo a vedere se sarà così anche per Rebowski.

Come si evolvono, dal primo al terzo romanzo, Martino e Marilù?

Martino è cresciuto, come sono cresciuto io. Nel primo romanzo aveva 35 anni e ora ne ha 42 come me. E con lui è cresciuta anche Marilù, detta l’”incensista”, che è l’emblema della radical chic genovese, che si mette le Birkenstock, ma è ricca, va alle mostre fotografiche, ai concerti jazz, è vegana, buddista e, appunto, accende l’incenso.

Ti sei ispirato a Una notte da leoni in chiave zeneize?

Sicuramente la “reverse cronology” è quella della “Notte da leoni” ed è una nuova tecnica narrativa, che stanno usando gli scrittori e gli sceneggiatori americani, che consiste nel partire dalla fine per ricostruire la storia. Nel mio romanzo, infatti, Martino si sveglia di mattina in un albergo gestito da cinesi, vestito da prete, e non sa il perché, non avendo il minimo ricordo della serata, che deve ricostruire per capire cos’è successo. Scoprirà anche che durante la notte ha conosciuto una ragazza che è stata uccisa: da qui iniziano le indagini.

Quella che descrivi è la tua Genova: quindi che Genova è?

Prima di tutto reale, è quella esistente, dei locali di chi ha sempre suonato, come me, e frequentato l’ambiente di comici, attori e scrittori: è quella ed è molto forte e viva.

E i personaggi, dalle prostitute alle signore della Genova “bene”: esistono realmente?

Sì, tutti, a parte le prostitute. La mamma di Martino è chiaramente mia madre; è una donna distrutta per il figlio, per il quale avrebbe voluto un destino diverso. Mia mamma, infatti, voleva facessi il commercialista, e quando le ho detto che avrei lasciato l’Università per scrivere, è stato come se le avessi detto che mi drogavo! E stasera non è venuta alla presentazione perché si è offesa per come l’ho dipinta! Quella di Martino, che è la classica catto-borghese di Castelletto, patisce per questo figlio sbandato.

Quanto del tuo lavoro di autore per i comici, emerge da questo romanzo?

Tantissimo, perché è un romanzo che fa ridere, oltre a essere un giallo. Del resto il mio linguaggio è questo, perché sono un “cialtrone”! Si tratta di un noir in cui si ride per le situazioni surreali in cui Martino si trova, non per le battute.

Qual è il passo che, secondo te, fa più divertire il lettore?

Dicono che il momento in cui Rebowsky, completamente nudo, apre la porta di casa pensando di trovarsi davanti un’altra persona, faccia molto ridere. Non so perché!

Medea Garrone

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