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Attualità | 25 aprile 2019, 12:44

Cristiano Militello: “Genova è il contrario degli stereotipi”

Il comico di ‘Striscia la notizia’: “Ho girato tutti gli stadi d’Italia, con Genoa e Sampdoria c’è sempre stata una grande accoglienza. A maggio, a Marassi, ci sarà un grande evento di sport e solidarietà”. Domani, alle 18,30, lo show ‘Cartelli d’Italia’ in piazza Fenice a Chiavari

Cristiano Militello: “Genova è il contrario degli stereotipi”

Si apre oggi, a Chiavari, l’edizione numero 159 della Mostra del Tigullio, organizzata dalla Società Economica e ambientata nel centro storico della città, tra piazza Fenice, l’Auditorium San Francesco e via Ravaschieri. Momenti di teatro, incontri con gli autori, spettacoli con gli artisti di strada e anche un sacco di risate assicurate. Le porterà, direttamente da ‘Striscia la notizia’, il simpaticissimo Cristiano Militello, divenuto popolare nel tg satirico ideato da Antonio Ricci per i cartelli bizzarri che va a scovare in tutte le parti d’Italia. Appuntamento in piazza Fenice domani (venerdì 26 aprile) alle ore 18,30, a ingresso libero. ‘Cartelli d’Italia’ è anche un libro, pubblicato da Baldini e Castoldi, il cui ricavato viene devoluto in beneficenza alla Fondazione Together To Go Onlus, che cura gratuitamente bambini con patologie neurologiche complesse.

Militello, anzitutto il libro. Come nasce l’idea di portare su carta il suo lavoro in televisione?

“La rubrica ‘Striscia il cartellone’ è stata lo spin-off naturale di ‘Striscia lo striscione’. Il nostro programma vive di segnalazioni e le mie rubriche non fanno difetto. Ormai ognuno con lo smartphone è un potenziale reporter e tra Striscia, R101 e i miei social sono inondato di materiale. Il mio archivio - che passa le 10.000 foto - cresce di giorno in giorno. Baldini + Castoldi nello scorso febbraio mi ha chiesto di pensare a un libro che raccogliesse le perle del genere”. I libri ‘leggeri’ sono tra i pochi di cui tiene il mercato. La gente ha bisogno di ridere in questi tempi difficili? “La gente ha bisogno di ridere sempre. Certamente i libri non fanno più i numeri di una volta, dove per una volta intendo ad esempio 15 anni fa. ‘Cartelli d’Italia’ ha già venduto venticinquemila copie, e siamo entusiasti. Si pensi però che tale cifra rappresenta appena quella che fu la prima tiratura di ‘Giulietta è ‘na zoccola’ del 2004, che poi ne vendette trecentomila”.

Quante persone lavorano nel suo team? Quanti segnalatori? Come nascono le sue strisce televisive?

“Il mio team è composto da Francesco Carabelli e Andrea De Falco, che sono con me da oltre 10 anni. Sono i miei occhi durante il weekend. Mentre io sono in giro per stadi, loro vedono le partite e verificano le segnalazioni che provengono a getto continuo. C’è una grande intesa, sanno bene cosa cerco e si occupano già di ‘tagliare’ le cose più efficaci e mettermele da parte. Poi io provvedo a fare una prima scrematura, dopodiché il lunedì interviene anche Dario Ferrigno, mio autore, con lui scremiamo ulteriormente e diamo la forma finale al servizio scrivendo anche il testo”.

Gli italiani hanno molta fantasia secondo lei?

“Beh, il dato forse più evidente è quello che siamo ancora un paese con degli spunti geniali, con un talento comico più o meno latente; l’altro - meno conciliante e che emerge nitidamente da questo libro - è che c’è un rapporto con l’ortografia completamente esploso. Il libro ha vari livelli di lettura: fa davvero molto ridere ma, se lo si vuole, fa anche molto riflettere su uno dei (tanti) problemi di questo Paese, l’analfabetismo funzionale. Ecco, diciamo che è un volume che lo evidenzia e lo esorcizza al tempo stesso”.

Il suo punto di vista rispetto ai social network: li usa? Come e quanto?

“Non li adoro. Sono stato costretto a usarli per ‘presidiare’ il territorio, visto che su Facebook - ad esempio - c’era già uno che parlava e scriveva a nome mio con diecimila followers. Mi limito a usarli come prolungamento di ciò che faccio: cercare di far sorridere, riflessioni divertenti, piccoli racconti, foto curiose, anteprime, promozione dei miei appuntamenti. Sterile e spesso impossibile provare a utilizzarli per qualcos’altro. Trovo che ci abbiano reso più aggressivi, più frustrati, più dipendenti, più maleducati, più superficiali, per non parlare delle subdole profilazioni politiche e commerciali perpetrate ai nostri danni”. Molti striscioni fanno ridere. Altri sono gravemente offensivi, altri ancora contengono elementi di reato. Secondo lei gli italiani hanno passato il limite? “Allo stadio c’è di tutto. Quando metti insieme migliaia di persone, il risultato è magmatico. Saper usare l’ironia, il sarcasmo, saper dosare il graffio non è cosa per tutti. Il crinale spesso è sottile, ognuno di noi ha sensibilità e ‘asticelle’ diverse. Detto ciò in alcuni casi si va davvero oltre e noi a Striscia - nel dubbio - non abbiamo mai dato spazio a messaggi trucidi, razzisti o violenti, nemmeno per stigmatizzarli, li abbiamo volutamente ignorati”.

Conosce la Liguria? Chiavari?

“Tra vacanze e lavoro, direi che la Liguria la conosco benone: Genova è una delle mie mete preferite, sia nel calcio che nel turismo; sono stato a fare danni in quasi tutti gli stadi liguri dalla A ai dilettanti, mi mancano Albenga, Ventimiglia, Imperia e pochi altri. Chiavari l’ho ‘timbrata’ qualche anno fa. Ricordo una giornata deliziosa”.

I tifosi dell’Entella le hanno mai fornito spunti? E Genoa e Samp? Dicono che siano tra le migliori tifoserie in Italia, che ne pensa?

“A Chiavari ricordo bene un tifoso che ogni volta che intervistavo qualcuno mi si piazzava dietro intonandomi un coro da stadio. Quando andai a riguardare le immagini girate era ovunque! A Genova si ha l’impressione proprio di trovarsi dinanzi a due popoli. Anche perché sono due tifoserie poi che portano moltissime donne allo stadio. Dal punto di vista della tradizione, sono due curve che hanno fatto la storia del tifo in Italia e lo stadio è certamente il più inglese che abbiamo. Nei miei libri sugli striscioni c’è un capitolo apposito sul derby della Lanterna. Fuori da Marassi ho incontrato dei personaggi memorabili per le mie rubriche, per non parlare dell’accoglienza, sempre aperta e generosa, insomma il contrario degli stereotipi”.

Suoi prossimi progetti televisivi o di altro tipo?

“La scorsa estate ho fatto una bellissima esperienza in occasione del Mondiale russo su Mediaset. Ci siamo divertiti con Pardo e gli altri volti dello sport. A maggio ci dovrebbe essere un grande evento di calcio e solidarietà proprio a Marassi. Chissà, potrebbe essere l’occasione per riportare in onda per una sera una formula che ha funzionato. Per il resto lunga vita a Striscia!”.

Se non avesse fatto questo mestiere, come si sarebbe visto?

“Io non mi sono mai visto in altra veste. Ho sempre voluto fare questo lavoro. Ho iniziato giovanissimo in teatro, ho iniziato a fare le serate da adolescente e sono approdato in tv che ero ancora un pischello. Certo la mia era una famiglia borghese, che ha preteso e ottenuto (giustamente) che studiassi e mi laureassi, ma anche loro vedevano e capivano che dentro di me bruciava qualcosa. È sempre stata solo una questione di tempo, mai di strada da intraprendere”.

Alberto Bruzzone

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