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Cultura | 27 gennaio 2020, 18:01

Enrica Canepa, figlia del partigiano Marzo: “Sono stata salvata dai contadini liguri”

Enrica Canepa era una bambina durante la Seconda Guerra Mondiale, in fuga dai fascisti e nascosta nelle campagne genovesi; grazie alla famiglia Fuselli si salvò. La sua storia messa in scena in "Ridarella"

Enrica Canepa

Enrica Canepa

Nella Giornata della Memoria, per non dimenticare, mai, ci vogliono i racconti, le testimonianze di chi dai lager e dalla guerra è riuscito a tornare, e di chi, partigiano, è sfuggito ai nazi-fascisti anche grazie al sacrificio di altri.

E questo lo sa bene Enrica Canepa, che, nonostante il conflitto mondiale, quel periodo lo racconta “come se fosse una fiaba”, mentre sfoglia l’album di fotografie, fatto dal papà, a testimonianza dell’infanzia felice che ha vissuto. E non per niente era soprannominata Ridarella.

Enrica, infatti, 88 anni e occhi verdi ancora sorridenti, da figlia di partigiani – di Giovan Battista Canepa “Marzo”, già eroe nella battaglia di Caporetto, e di Maria Vitiello, la prima donna partigiana – è stata una bambina in fuga per anni: da Genova a Milano a Parigi, ha vissuto avventure rocambolesche, da romanzo, a partire dalla fuga di Natale, a 10 anni, in camicia da notte, con la mamma, quando, prima dell’8 settembre, tutta la famiglia era ricercata dai fascisti. Sono gli anni in cui deve vivere nascosta, prima di tutto nell’entroterra di Chiavari, dove è sopravvissuta grazie a chi, mettendo a repentaglio la propria vita, ha deciso di nasconderla: “Dovete parlare dei contadini della Liguria – dice – perché senza di loro i partigiani ce l’avrebbero fatta. Hanno rischiato per aiutarli e anche per aiutare me, si deve sapere”.

Infatti a Castello, una frazione di Favale di Mavaro, a due ore di cammino attraverso la mulattiera, Enrica era nascosta nel fienile della famiglia Fuselli: “Il figlio Severino era partigiano e poi è stato fucilato. Era lui a portarmi sulle spalle, per scappare da una cascina all’altra. Se mi avessero scoperto avrebbero ucciso tutta la famiglia. In estate ogni anno tornavo da loro con mio padre. I contadini genovesi sono stati bravissimi, davano farina, polenta e anche vestiti ai partigiani”.

Eppure la coraggiosa Enrica non sembrava temere nulla: “L’unica cosa che mi spaventava era non avere notizie dei miei genitori, perché sapevo che potevano essere presi, torturati e fucilati. Ho avuto incubi per anni”.

Anche perché è stata costretta a passare diversi periodi lontana da loro. Dopo il nascondiglio a Castello, infatti, Marzo, ritenendo che fosse più sicura, l’aveva portata a Milano, scappando prima per i boschi, fino ad arrivare a piedi ad Arquata, e poi via, in treno, per il capoluogo lombardo, dove l’attendavano la nonna Rusinin e lo zio farmacista, “ma alla stazione stavo col fiato sospeso, col timore che arrivasse un fascista e riconoscesse papà, che viaggiava sempre con i documenti e la pistola nello zaino”.

E poi come dimenticare la staffetta che in bicicletta l’ha riportata in Liguria, dove i partigiani avevano il quartier generale? “Mio padre temeva che i tedeschi si ritirassero creando una sorta di barriera, come a Cassino, e così, per non rischiare che rimanessi a Milano, separata da loro, ha voluto tornassi: una staffetta, un padre di famiglia di cinque figli, mi ha portato in bicicletta, sul portabagagli, legata con una corda”. Duecento chilometri, percorsi anche attraverso un ponte di barca sul Po, per tornare a Genova, che i partigiani stavano per liberare. Quella staffetta, che due volte alla settimana faceva quel tragitto per portare gli ordini, è stata uccisa dagli americani, “che non volevano che Genova fosse liberata dagli italiani: volevano arrivare loro per primi, e per questo hanno mandato degli aerei a sparare sui camion dei partigiani, e tra loro c’era anche la mia staffetta”.

Enrica, così, riabbracciò i genitori a Casanova di Rovegno, “dove papà aveva requisito una casa ai fascisti e dove ho vissuto nell’ultimo periodo della guerra. Da lì partivano gli ordini dei comandanti: è stato un periodo bellissimo, mi sono divertita tantissimo, era una zona partigiana in cui sembrava di stare in Svizzera”. E lì dormiva, nella camera accanto a quella di Enrica, anche l’altro celebre capo partigiano, “Bisagno”, “che era bellissimo”. E dove aveva conosciuto anche il futuro presidente Sandro Pertini, “che ai miei occhi di bambina era un po’ troppo serio”. Mentre da ragazza, appena vent’enne, anche un altro presidente, Giorgio Napolitano, che in quell’epoca studiava alla scuola di partito, e che aveva passato l’estate insieme ai Canepa e lei: “alla sera, a Chiavari, andavamo a passeggiare e ballare. Mi confidavo con lui, perché mio padre non voleva che sposassi il mio fidanzato, Stefano D’Amico. Mi farebbe piacere rivedere Napolitano”.

Un’infanzia e una giovinezza particolare, insomma, quella di Enrica (che grazie al padre ha conosciuto anche Tito) e che per essere ricordata – perché tutti sappiano e ricordino sempre - infatti, è stata messa in scena lo scorso novembre a Bogliasco grazie a Ivano Malcotti, che ha raccolto la sua testimonianza, trasformandola nel testo drammaturgico “Ridarella” (per la regia di Giorgio De Virgiliis e la direzione artistica di Valeria Stagno), per il Teatro di Cittadinanza. L’opera, con nuovi episodi inediti sulla famiglia dei partigiani Canepa, sarà di nuovo rappresentata in occasione del 25 Aprile,

 

 

Medea Garrone

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