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Attualità | 08 marzo 2025, 08:00

8 marzo - Guidare i carrelli per rompere gli schemi: la storia di Monica Tamburini, l'unica donna impiegata sulle banchine del porto di Genova

Tra sfide e soddisfazioni, un esempio di determinazione e professionalità in un ambiente tradizionalmente maschile: "È un lavoro duro per tutti, ma siamo una squadra"

8 marzo - Guidare i carrelli per rompere gli schemi: la storia di Monica Tamburini, l'unica donna impiegata sulle banchine del porto di Genova

Monica Tamburini ha cinquantatré anni ed è una delle poche donne a lavorare sulla banchina del porto di Genova. Ogni giorno, con passione e determinazione, porta avanti la sua professionalità in un ambiente che è tradizionalmente considerato ‘da uomini’, senza rinunce e senza sgomitare troppo per ottenere spazio, rispetto e ammirazione da parte dei colleghi. “Spesso mi dicono che so caricare i camion meglio di tanti uomini" racconta con un sorriso, riassumendo con poche parole la sua esperienza: una donna che non solo svolge un lavoro considerato atipico per il genere femminile, ma lo fa con competenza e professionalità.

Sono figlia d’arte, se così si può dire: anche mia madre ha lavorato in porto e mio padre faceva lo spedizioniere” racconta ancora. Cresciuta respirando l'aria del porto, quasi naturalmente ha trovato il suo posto tra le merci e i mezzi pesanti. La sua carriera è iniziata in ufficio, poi è passata all'area merci del terminal, fino a quando, nel 2013, ha dovuto scegliere se rimanere dietro a una scrivania o scendere in banchina e guidare i carrelli per mantenere i turni di lavoro compatibili con la gestione familiare, e ad avere la meglio è stata la seconda opzione. “Non è stato facile ottenere i turni. In ufficio non è possibile lavorare part-time, ma io avevo una bambina piccola da crescere. L’unica alternativa era quella di andare in banchina" spiega. 

Una scelta che qualcuno potrebbe considerare coraggiosa, ma che ha permesso a Monica Tamburini di conciliare, per quanto possibile, lavoro e famiglia. "All’inizio mia figlia non capiva bene quando fossi a casa e quando no, perché il turno cambiava continuamente, ma alla fine ci siamo adattate”.

Il lavoro in porto è duro, non solo per le condizioni fisiche, ma anche per il contesto, ancora poco abituato alla presenza femminile: "Una donna che fa un lavoro da uomo viene vista con un po' di stupore. O hai delle tendenze strane, oppure non si capisce perché lo fai" racconta con ironia. "Ma se sei una persona seria e hai voglia di lavorare, non importa il tuo sesso, chiunque può farlo." Certo, le difficoltà non mancano: "I mezzi sono costruiti per gli uomini, all'inizio avevo difficoltà a raggiungere i pedali. Ora almeno hanno comprato carrelli che si abbassano."

Oggi Monica si divide tra il lavoro in ufficio e quello sulla banchina, dove il sabato torna a guidare i carrelli e a occuparsi delle merci: "Gli autisti erano contenti che caricassi io, perché sono precisa e non do colpi al camion. Non devono essere martoriati dai mezzi della banchina!" spiega sorridendo ancora. Ma il suo impegno non si ferma qui: fa parte di un coordinamento di donne lavoratrici, un gruppo che riunisce lavoratrici portuali di diversi settori, da Genova a Savona, passando per altre città portuali. Un gruppo nato per condividere esperienze, problemi e soluzioni, e per aprire sempre più porte alle donne in settori tradizionalmente maschili. 
"Abbiamo fatto riunioni per raccontare le nostre storie, e anche per affrontare problemi concreti. Ad esempio, in banchina non sempre puoi andare in bagno quando ne hai bisogno, devi aspettare la pausa o chiedere a un collega di coprirti".

La sua esperienza dimostra che le donne possono fare qualsiasi lavoro, se lo desiderano: "Certo, non puoi fare la principessina" scherza, "è un lavoro duro per tutti, ma è anche un lavoro di squadra. I miei colleghi mi hanno sempre aiutata e insegnato i trucchi per faticare meno. E poi ho uno spogliatoio solo per me, in questo sono più fortunata degli altri!” 
Il bilancio, dopo anni di lavoro in un ambiente che spesso non lascia spazio ai ripensamenti, è positivo: "Non ho rimpianti. Tornerei a caricare i camion perché mentalmente sono più libera. È un lavoro ben retribuito e mi ha permesso di crescere mia figlia. Ora ha sedici anni, quindi si arrangia di più, ma per anni mi sono alzata alle cinque per cucinarle la pasta per mezzogiorno”. E per il futuro? “Non escludo di cambiare lavoro, ho già fatto la barista in passato e se mia figlia volesse aprire un negozio potrei andare a darle una mano. Chissà. Ma in questi anni sono stata bene”. E questo è quello che conta, al di là di consuetudini, preconcetti e abitudini troppo spesso stantie.

Chiara Orsetti

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