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Attualità | 01 maggio 2025, 12:25

Primo maggio, migliaia di persone al corteo organizzato da Lotta Comunista: “Il nemico in casa nostra oggi è l'imperialismo europeo”

A De Ferrari il palco allestito per i comizi dopo aver attraversato il centro della città: “Genova è multietnica e sarà sempre più così”

Il tradizionale corteo del Primo Maggio organizzato da Lotta Comunista ha attraversato le vie di Genova, portando in piazza il tema dell'internazionalismo operaio e della lotta di classe. Tante bandiere rosse in mano a lavoratori e lavoratrici, tra cui moltissimi stranieri, giunti in migliaia, che hanno sfilato per le vie del centro raggiungendo poi il palco allestito in piazza De Ferrari. 

"Un’occasione per ricordare, come ogni anno, il primo maggio internazionalista, la nostra giornata, la giornata dei lavoratori di tutto il mondo - spiegano da Lotta Comunista -. Il nostro partito fa un'attività quotidiana e costante tra tutte le stratificazioni della nostra classe tra gli operai, i portuali e i lavoratori dei trasporti, quelli del commercio, della logistica, ma anche tra gli impiegati, i tecnici e gli ingegneri. Molti di loro si impegnano ogni giorno nel volontariato, anche nella diffusione del nostro giornale tra i colleghi e nei quartieri. Alcune delle più grandi concentrazioni di salariati in città sono così diventate negli anni piccole roccaforti di internazionalismo”. 

Fino a poco tempo fa parlare dei nostri argomenti suscitava quantomeno perplessità, ve lo ricorderete - afferma dal palco Marco Vigogna, ingegnere di Leonardo -. L’rruzione della Cina come nuova potenza imperialista, la conseguente erosione dell'ordine mondiale uscito dalla seconda guerra mondiale fino alla prospettiva della sua rottura. La reazione era un sorriso di chi la sa lunga, un compiacimento dell'interlocutore: ‘Appartiene al passato. Figurarsi la guerra non accadrà di nuovo. Ormai ha vinto la democrazia’, dicevano, ‘in particolare qui in Europa, culla dei diritti dell'uomo’ e così via. A distanza di pochi anni quei sorrisini, quella sufficienza sono scomparsi, travolti da cari armati e dai missili delle guerre della crisi dell'ordine, ossia proprio degli avvenimenti della scatenati dall'affermazione della Cina. È proprio vero, il tempo è galantuomo, compagni, ma si sa, la ragione bisogna prendersela. Noi combattiamo perché le nostre posizioni si saldino, si radichino tra i nostri colleghi. Gli stabilimenti, tutti i luoghi di lavoro. Hitachi, Ansaldo, Ex Ilva, Fincantieri, Leonardo, le Ferrovie, vogliamo che diventino fortezze della presenza internazionalista in città. I salariati producono tutta la ricchezza sociale mondiale: ovunque operai, ingegneri, tecnici, impiegati hanno in mano le leve della produzione, una produzione che diventa sempre più tecnologica. La scienza apre grandi possibilità, grandi potenzialità, potrebbe risolvere enormi problemi e invece, lasciata nelle mani del capitale, continua a produrre disastri. Viene tanto sbandierata l'utilità dell'energia elettrica, possibilmente pulita, ci dicono, ma all'improvviso, nel caso del capitalismo, Spagna e Portogallo in questi giorni si trovano nel buio senza sapere neanche il perché. L'intelligenza artificiale dimostra di essere utilissima per la scoperta di nuovi farmaci, nuove molecole, senza sarebbero necessari anni di sperimentazione in laboratorio sui pazienti. La stessa intelligenza artificiale però utilizzata, ad esempio, per i droni militari, come sta accadendo ormai da più di tre anni nella guerra d'Ucraina, ne automatizza il decollo, l'atterraggio, l'individuazione degli obiettivi da colpire. L'intelligenza artificiale viene utilizzata tanto per allungare la vita quanto per accelerare la morte. Nel capitalismo la forza produttiva della scienza diventa capacità distruttiva. Il marxismo non ha avuto paura di andare contro la corrente di ieri, contro la corrente del senso comune, tantomeno ha paura di farlo oggi. Oggi che stanno preparando per noi e per le generazioni future elmetti e fucili e le motivazioni ideologiche patria, libertà, democrazia. Ma l'unico reale motivo è la spartizione del mercato mondiale in sfere di influenza, la lotta per la spartizione del profitto. Quelli sono davvero i loro valori, i valori della borghesia. E qual è la nostra risposta? Nel giorno del primo maggio oggi la nostra risposta è quella di uno dei nostri martiri di Chicago del primo maggio 1886 davanti al patibolo: Io vi disprezzo. Noi disprezziamo la classe dominante borghese e il suo vecchio mondo per tutto ciò che rappresenta. Perché schiaccia l'umanità sia prima, sia durante la guerra perché ne mortifica le aspirazioni e le possibilità di sviluppo. 

Conosciamo i valori della classe dominante borghese. Li abbiamo visti nelle trincee, nelle mutilazioni. Li vediamo nella morte dei bambini al freddo, dietro al filo spinato o sulle spiagge di Gaza. Abbiamo visto i valori della classe dominante borghese, tanto nella barbarie, nel campo di sterminio nazisti, quanto nei corpi trasformati in ombre dalle bombe atomiche democratiche. Non ci dimentichiamo nulla. Il corteo del primo maggio serve per dire ‘non ci facciamo confondere’. Totalitarismo o democrazia, guerra, pace. Dietro il fumo delle parole la classe dominante borghese nasconde solo nuove spartizioni e le premesse della prossima guerra. Il corteo del primo maggio serve per dire: non ci stiamo compagni. Non abbiamo parti da difendere e per cui morire. Non gli daremo un solo uomo. La nostra patria è la più grande, è il mondo intero ed è per quello che combattiamo, per un mondo senza confini e per un'umanità più divisa in stati e in classi sociali. Oggi non ribadiamo: non sarà la borghesia a indicarci il nemico. Lo abbiamo già edificato da tempo, dal primo numero del nostro giornale. Il nemico in casa nostra oggi è l'imperialismo europeo, proprio quello che si sta riarmando e ci vuole mettere il fucile in mano, l'elmetto sopra la testa e il veleno dentro. Il tale veleno è proprio l'ideologia forgiata da politici, intellettuali, giornalisti, artisti, tutti a servizio della borghesia. I comunisti sanno che è possibile fermare la guerra trasformando la loro crisi imperialista in rivoluzione sociale per un mondo senza profitto e senza confini. Non è un'ipotesi, non è una fede. I bolscevichi fermarono un massacro mondiale, seppur su un solo fronte, quello russo tedesco. Si può rifare, per questo lavoriamo, lo diciamo sin da ora, non avranno i nostri cervelli, sono ben corazzati dalla scienza marxista, non avranno i nostri cuori. Battono per quel mondo che vediamo avvicinarsi inesorabile all'orizzonte. È il mondo nuovo. Si oppongono ma non possono vincere. Per questo siamo bolscevichi, per questo siamo rivoluzionari, per questo siamo internazionalisti”.

A parlare anche un lavoratore migrante, delegato sindacale in un'azienda in appalto presso il cantiere Fincantieri di Sestri Ponente. Ha parlato della sua esperienza personale e della realtà multiculturale del suo luogo di lavoro: "Le Nazioni Unite dicono che nel mondo ci sono il miliardo e 300 milioni di migranti, cioè persone che vivono in un luogo diverso da quello di nascita. E’ un fenomeno che gli italiani conoscono bene perché negli scorsi decenni a decine di milioni si sono spostati dentro e fuori i propri confini nazionali, lasciando la propria casa, i propri familiari e propri affetti. Oggi a spostarsi sono soprattutto giovani, proletari asiatici, africani e dell'America Latina in movimento da dove la loro forza lavoro è in eccesso verso dove invece è più richiesta. Io sono uno di loro, vengo dal Bangladesh, ma dopo 14 anni in Italia posso dire di sentirmi a pieno titolo anche genovese, italiano e europeo. Posso dire cittadino del mondo, e mi sento davvero parte del proletariato, quello classe mondiale senza patria.  Siamo operai, impiegati, tecnici, ingegneri tutti diversi per provenienza, lingua, cultura, religione e chissà quante altre cose. Quando tutte queste diverse si incontrano, capirci non è sempre facile e immediato, ma alla fine parliamo tutti una lingua comune, quella del lavoro. Noi ogni giorno entriamo in una fabbrica dalla grande storia e dalla lunga tradizione dove tutti insieme produciamo quelle che sono ritenute le navi più belle del mondo e ne siamo orgogliosi proprio come ne erano orgogliosi gli operai che ci hanno lavorato prima di noi. 

Il nostro cantiere è sempre stato un laboratorio di integrazione, per il semplice fatto che ci hanno sempre lavorato moltissimi migrati. Non ci sono mai stati solo i sestresi e genovesi, ma anche operai piomontesi, veneti, napoletani, siciliani, calabresi, friulani. Veniamo da ogni angolo del globo, io sono diventato anche delegato sindacale nell'azienda in appalto dove lavoro. Vorrei perciò rassicurare tutti quelli che giustamente si preoccupano per la condizione di noi lavoratori all'interno del cantiere. Non preoccupatevi perché sappiamo difenderci: abbiamo difeso con lo sciopero la fabbrica quando rischiava di chiudere anni fa, e stiamo oggi portando avanti un intenso lavoro sindacale per unire anche nella lotta per il contratto di lavoro i nostri colleghi di tutti i paesi, ma tutto coloro che invece usano la scusa dello sfruttamento per proporre la chiusura del cantiere o magari per limitare le ascensioni di operai stranieri. Voglio dire una cosa diversa. Siete fuori dalla storia. Genova è multietnica e sarà sempre più così. Ma soprattutto la classe operaia e mondiale non ha confini. La convivenza tra nazionalità diverse non è mai una problema, finché qualcuno non lo fa diventare un problema soffiando sull'odio e sull'intolleranza. Il primo maggio è la giornata che tutti i lavoratori del mondo riconoscono come la loro data simbolo. Perciò proprio oggi di fronte al razzismo, al nazionalismi, alle guerre in Ucraina, in Palestina e in tutte le parti del mondo al riarmo dell'Europa e di tutti gli stati. Dobbiamo dire con forza che l'unica soluzione è l’internazionalismo, perché gli operai non hanno patria”.

Il corteo è partito alle 9,30 da piazza Caricamento, proseguendo poi per via San Lorenzo, piazza Dante, via XX Settembre fino ad arrivare in piazza De Ferrari.

Chiara Orsetti

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