“Siamo a un bivio: da un lato la vita della nostra città, dall’altro la morte, l’immobilismo”.
Pietro Piciocchi, sul palco del porto antico che sancisce la fine della sua campagna elettorale, ne fa una questione di vita o di morte, senza giri di parole. Un discorso fortemente incentrato sull’avversario, su quella sinistra del “no” ormai sbandierata da qualunque rappresentante del centrodestra cittadino. Chiude citando Petrarca, apre parlando di una Genova che cresce, ma subito porta l’attenzione sull’avversario. E poi c’è il ponte Morandi, grande protagonista involontario dei discorsi di molti dei rappresentanti della coalizione di governo, da Salvini al candidato sindaco.
Ma a Piciocchi sembra non essere andato giù, in particolare, quel mancato confronto con Silvia Salis. “Non ho potuto avere un confronto con la mia avversaria, è sempre fuggita - ha detto dal palco - hanno paura perché non sanno affrontare i temi”.
Il vicesindaco uscente ha nuovamente tirato in ballo anche la finta aggressione di stampo fascista a un sindacalista della Cgil a Sestri Ponente, per poi accusare la sinistra di non aver dimostrato amore per la città. “In queste settimane non ho mai sentito dalla mia antagonista parole di amore per questa città, non l’ho mai sentita vibrare per Genova - così Piciocchi dal palco - non le ho mai sentito parlare della nostra storia, delle tradizioni, l’orgoglio, la bandiera. L’unica cosa che li unisce è l’odio contro di noi e contro Genova”.
Tutto questo prima del gran finale, con la famiglia al completo sul palco e, in video, l’appello al voto dei figli.

In collegamento video da Roma, la Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha ancora una volta parlato dei “signori del ‘no’”, ha rimarcato l’unione di intenti tra Comune, Regione e Roma, e ha rilanciato quello che è stato, di fatto, lo slogan di tutti i rappresentanti del centrodestra nazionali e locali: “Non si può tornare indietro”.
Anche il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, in collegamento da Città del Messico, ha ripetuto lo schema dei “partiti del ‘no’” del “non si può tornare indietro”, contrapposti a un centrodestra che guarda al futuro, all’espansione del porto.
Cavallo di battaglia di Matteo Salvini la sicurezza, con l’incremento delle telecamere cittadine e con i vicoli in cui “quando c’erano i compagni dovevi entrare con l’elmetto e il giubbotto antiproiettile”, sommato a un velato appello all’astensione al referendum e all’altro pezzo forte: “Guai a cancellare parole come mamma e papà”. In conclusione, la previsione: “Sono convinto che si vinca, vinciamo al primo turno”.
Un istrionico Edoardo Rixi, viceministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, a voce piena ha puntato il dito contro il centrosinistra, reo di aver prodotto “una serie infinita di balle”. “Chi non abita a Genova da 20 anni prima di dire cose sbagliate si deve sciacquare la bocca - ha aggiunto, senza mai nominare Silvia Salis - dal Coni ci dicono che ha detto che non aveva conosciuto nessuno meglio di Toti e Bucci. Qualcuno vuole fare carriera politica sulla nostra città, qui la questione è se sei genovese o no. Non basta nascere a Genova, bisogna amarla. Genova non è un autobus, ha una storia”.
Da Stefano Badecchi, istrionico coordinatore di Alternativa Popolare, gli attacchi più pesanti nei confronti di Silvia Salis: “Uno fa il giurista, una tira una palla di ferro. La differenza è la stessa che c’è tra noi e l’altro campo”. E poi: “Ha un nome infausto, non possiamo assolutamente ignorare questa cosa. Ognuno di noi ha un nome e un cognome, questa cosa ci caratterizza, ci sarà un perché anche lei si chiama Salis”.
Un lungo show che ha visto assoluti protagonisti i partiti, i leader nazionali e locali, a discapito delle liste civiche, citate in un paio di occasioni senza mai prendere completamente la scena. In mezzo le bandiere, gli slogan, i cori per Piciocchi, l’appello al voto quando all’apertura delle urne mancano poco più di 24 ore.





















