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Attualità | 12 luglio 2025, 08:00

Dalle ceste di pane sulle spalle a un’impresa fatta di passione e comunità: i trentatré anni del panificio Rocco che intreccia storie e tradizioni

Dal primo impasto negli anni '70 ai corsi internazionali in Kazakistan, dalla riapertura dopo l’alluvione alla scelta di ospitare venti profughi ucraini in casa, Rocco Darretta non è solo il titolare del forno a Pra': è un simbolo di resilienza e solidarietà silenziosa. "Ma l'attività è un gruppo: Rocco non è solo Rocco, ma siamo tutti noi"

"Rocco non è solo Rocco, ma siamo tutti noi": così Rocco Darretta, il titolare del Panificio Rocco di via Cordanieri a Pra’ descrive la sua attività, che da trentatré anni rappresenta molto più di un semplice negozio. Dietro al bancone c’è una squadra unita e compatta, legata da passione, sacrifici e una visione del commercio che coniuga qualità e rapporto umano. La storia di Darretta è quella di un uomo che ha trasformato una piccola bottega in un esempio di resilienza, con esperienze internazionali, un forte impegno solidale e la volontà costante di rinnovarsi. Un percorso che racconta non solo la fatica di crescere, ma anche la forza di chi non si è mai arreso e ha fatto della solidarietà una missione quotidiana.

Tra difficoltà, alluvioni, traguardi internazionali e sostegno concreto alla comunità, il Panificio Rocco è diventato un punto di riferimento non solo per il quartiere di Pra’, ma anche per chi crede nel valore del lavoro artigiano come strumento di inclusione e crescita.

Quest’anno festeggiamo trentatré anni, siamo qui dal dicembre del 1992. Dietro c’è un percorso molto lungo e duro", afferma Rocco, che ricorda i suoi inizi. A soli sedici anni portava il pane a piedi per un panificio a Cornigliano, con la cesta di vimini in spalla, pesante da trasportare anche in tre. Dopo qualche tentativo nello studio dell’elettronica, spinto dalla famiglia, si ritrovò quasi per caso nel mondo della panificazione, nel mentre al mattino si occupava di lavoretti presso un'officina del quartiere: “Ero affascinato dalla creatività del lavoro, come dalla farina vedevi sorgere il prodotto, si mangiava il pane e focaccia calda, i profumi che oggi non si sentono più purtroppo". 

La sua formazione fu impegnativa e pratica: “Mi iniziarono a mettere al forno, che ai tempi era difficile, con i forni a pedali che giravano... Le teglie non esistevano ancora in Liguria, le portarono i piemontesi". Dopo il servizio militare, lavorò con diversi panettieri esperti, che gli insegnarono tutto, fino a quando a venticinque anni gli si presentò l’occasione di rilevare un panificio a Pra’. "Sono andato a lavorare a Sampierdarena, in via Molteni, da un bravissimo imprenditore ed ex panettiere che mi ha insegnato tantissimo. Voleva che imparassi a fare tutto nel panificio. Un giorno mi ha prestato a un altro panettiere, un piemontese molto esperto nella preparazione del pane. Sono andato lì per un anno e mi ci sono trovato molto bene. Quando è arrivato il momento di tornare, da Bolzaneto a Sampierdarena, il panettiere piemontese voleva che rimanessi con lui, ma io ho mantenuto la mia promessa e sono tornato a Sampierdarena", ricorda Rocco prima di approdare a Pra'. 

Passarono "alcuni anni e, all’età di 25 anni, questo signore vendette il forno di Bolzaneto e mi chiamò per dirmelo, offrendosi di aiutarmi ad aprire un panificio. Ci incontrammo e andammo a vedere diversi panifici. Quando tornai da Bruno, gli dissi che Andrea mi avrebbe dato una mano a trovare un locale, ma lui rispose di no, perché voleva aiutarmi personalmente. Gli raccontai che ero senza macchina, a causa di un episodio qualche mese prima, quando mi aveva lasciato a piedi perché ero andato a intervenire in via Vesuvio. Così, per aiutarmi, mi comprò due auto. Avevamo un rapporto meraviglioso. Alla fine, mi aiutò davvero a trovare il panificio: vidi quello in vendita a Pra’, l’attuale, e così decisi di prenderlo", prosegue Rocco nel racconto. 

Nonostante l’alluvione degli anni ’90 che devastò il locale e i primi momenti difficili pieni di debiti, Rocco non mollò mai: “Ero pieno di debiti", sottolinea, "ma ha sempre pagato i dipendenti, non ci ho mai lasciato senza niente", rimarca la storica collaboratrice Raffaella Bellebuono. “Rocco non è Rocco singola persona, ma è tutto il gruppo: siamo una squadra, unita e compatta": con queste parole descrive la sua impresa, un’attività costruita insieme a una storica dipendente che lo ha sempre affiancato e supportato nei momenti difficili.

Il lavoro di Rocco ha oltrepassato i confini, portando la sua arte e la tradizione del pane italiano in paesi lontani e in contesti internazionali di rilievo: “Tutto è nato quasi per caso - racconta -. Mi iscrissi per scherzo a un’accademia di istruttori di panificazione a Milano, pensando fosse solo una curiosità. Invece mi si aprirono porte inaspettate: venni chiamato per insegnare ai russi a fare prodotti italiani, e da lì iniziarono una serie di esperienze che mi hanno arricchito professionalmente e personalmente". 

Rocco è stato invitato più volte all’estero, anche in luoghi particolari per un panettiere genovese: “Sono stato in Kazakistan per serate gastronomiche di alto livello, dove abbiamo portato i sapori italiani. Lì ho creato un marchio, ‘Italian Food Gastronomic Tour’, con cui organizzavo eventi in Italia e all’estero, facendo conoscere la nostra tradizione". 

Ma il suo impegno non si limita al lavoro, perché quando è scoppiata la guerra in Ucraina, Rocco ha dato un sopporto concreto: "Dopo le varie esperienze e amicizie in Ucraina, appena scoppiata la guerra, mi chiamarono per chiedere aiuto. Quando arrivavano queste persone, c’era chi le andava a prendere e poi le portava a casa mia. Ho avuto fino a venti ucraini ospiti contemporaneamente, cinque famiglie che vivevano nella mia casa: alcune se ne andavano e ne arrivavano altre. È stato un aiuto concreto, un sostegno reale a chi fuggiva dalla guerra in Ucraina". 

La solidarietà è una missione quotidiana: “Ho organizzato spedizioni di aiuti umanitari, inviato vaccini per Gaza, ambulanze e viveri nelle zone colpite da calamità come l’alluvione in Emilia Romagna. Il panificio per me è anche questo: un luogo da cui parte un aiuto concreto, un punto di riferimento non solo per il quartiere ma per chi ha bisogno", racconta. 

E sul pane di ieri e il pane di oggi "non c’è paragone", riflette Rocco: “Nel corso degli anni si è cercato di alleggerire il peso sull’operatore, passando da sacchi di farina da 50 kg a 25 kg, ma la qualità ne ha inevitabilmente risentito". 

Con il tempo, il consumo del pane è diminuito drasticamente, anche per via della composizione multietnica di Genova e della diffusione di stili alimentari veloci: “Oggi i palati sono abituati a qualsiasi cosa, anche al cibo confezionato. Il cibo non è più al centro come una volta, quando il momento del pasto era sacro, un’occasione di condivisione", chiarisce. 

Il futuro per Rocco è in continua evoluzione, costantemente “sul pezzo” e sempre con la voglia di reinventarsi. E così Rocco è un esempio per tutti coloro che nella vita hanno un obiettivo da perseguire, per chi ha attraversato momenti difficili e sa che non deve mai mollare, ma senza mai tutto caricato sulle proprie spalle: "In tutto questo percorso, non avrei potuto fare nulla senza Raffaella, che mi è stata sempre accanto. Da soli non si va da nessuna parte". Una persona che, nonostante i tanti successi e un impegno solidale instancabile, non cerca visibilità né ritorni personali, ma opera nel silenzio e nell'ombra, mettendo sempre al primo posto la sua comunità e chi ha bisogno.

Federico Antonopulo

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