Sul dossier ex Ilva il governo guarda alle prossime ore, quando i commissari attendono di ricevere i piani industriali e le proposte vincolanti dei soggetti che hanno manifestato interesse. "Tutto posso fare, salvo turbare il mercato", premette il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, evitando di sbilanciarsi su un'eventuale cordata italiana.
Il ministro sarà oggi alla Commissione Industria del Senato, dove proseguono le audizioni sul decreto varato il primo dicembre. Un provvedimento che, ricorda, contiene misure per sostenere l'amministrazione straordinaria nella fase di transizione, compresi gli investimenti necessari alla riattivazione del secondo altoforno e alla manutenzione del quarto. Accanto ai fondi americani Bedrock Industries e Flacks Group, Urso aveva citato l'interesse di due player extraeuropei, senza escludere un coinvolgimento nazionale.
Dalle audizioni emerge però un quadro industriale in forte deterioramento. Per Antonio Gozzi, presidente di Federacciai, "non c'è più tempo". Lo stabilimento, afferma, è "drammatico dal punto di vista industriale" e il fatto che nessun investitore si sia presentato all'asta indica che per il mercato l'impianto è ormai "inagibile". Il sequestro degli impianti resta la prima soglia da superare: "Chi compra un'azienda sotto sequestro da lustri?".
Il commissario straordinario Giancarlo Quaranta fotografa invece l'impatto sociale della vertenza: 4.450 lavoratori in cassa integrazione, 701 in formazione. E spiega che il bando è stato rivisto sia sulla capacità produttiva, sia per introdurre il criterio della "totale decarbonizzazione".
Nel frattempo, a Taranto, sindacati e istituzioni locali tentano di serrare le fila. Il consiglio di fabbrica di Fim, Fiom, Uilm e Usb, con Comune, Provincia e Regione, sottoscrive una piattaforma che prevede tre forni elettrici "nel minor tempo possibile", quattro Dri, la riattivazione delle linee di finitura e una clausola sociale per tutelare l'indotto. Una richiesta unitaria che punta a ottenere "risposte concrete" e il ritiro del piano corto, cioè del progetto che guarda solo a breve termine e finisce nei primi tre mesi del prossimo anno.
Il presidente uscente della Regione, Michele Emiliano, sollecita un ruolo forte di Palazzo Chigi: "Serve una garanzia pubblica sulla gestione del piano". Per il sindaco Piero Bitetti "Taranto vuole lavoro, non cassa integrazione". Nella coalizione di centrosinistra, però, il fronte si incrina. Il consigliere comunale del Pd Luca Contrario parla di una "letterina di Babbo Natale" e chiede "chi dovrebbe mettere i 7-8 miliardi" per i nuovi impianti.
Sindacati e istituzioni invitano la premier Giorgia Meloni ad assumere la guida politica della partita, in attesa di capire se dai soggetti interessati potrà nascere un'intesa - per ora tutt'altro che semplice. E nel frattempo sollecitano un intervento pubblico, considerato decisivo per accompagnare il processo di decarbonizzazione e destinato a diventare il vero banco di prova delle scelte del governo.














