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Innovazione | 19 febbraio 2019, 17:00

Self-driving car di Google: è genovese il responsabile sicurezza delle auto senza guidatore

Dal treno supersonico Hyperloop di Elon Musk alla self-driving car di Google: ecco chi c'è dietro alla sicurezza di queste intelligenze artificiali, il genovese Andrea Vaccaro. Intervista

Self-driving car di Google: è genovese il responsabile sicurezza delle auto senza guidatore

Treni supersonici e auto che si guidano da sole. Con la “navicella” di Hyperloop si raggiungono in pochi minuti lunghe distanze (leggi QUI), e basta un’app per prenotare, in Arizona, un robotaxi con pilota automatico. Non si tratta di uno scenario di un futuro ancora lontano, ma di realtà già concrete e in fase di sperimentazione.

Immaginiamo, allora, viaggi alla velocità della luce e veicoli senza guidatore, su cui spostarsi in tutto relax, senza preoccuparsi del percorso e sicuri che non accadrà alcun incidente. E questo grazie anche al lavoro di un giovane ingegnere genovese, Andrea Vaccaro, che si occupa proprio di garantire la sicurezza di tali sistemi di pilotaggio. A 36 anni, dopo l’esperienza su Hyperloop col visionario Elon Musk, Andrea è passato alla self-driving car di Google, lavorando alla Waymo, società del gruppo Alphabet (parent company di Google) nata come Google Self-Driving Car project nel 2009, poi diventata società a parte nel 2016. Lo abbiamo intervistato direttamente dalla Silicon Valley, dove “la rivoluzione delle auto a guida autonoma è già iniziata”.

Dal treno supersonico Hyperloop alla self-driving car di Google: come mai hai cambiato?

Le automobili - ed in particolare le automobili che si guidano da sole - mi hanno sempre affascinato. La scorsa estate ho avuto modo di parlare con alcune delle persone che lavoravano a Waymo e sono rimasto colpito a livello sia personale, che professionale. Un team veramente incredibile. Poi ho visitato il quartier generale a Mountain View ed è scoppiata la scintilla! Le tecnologie che il team di Waymo ha sviluppato in 10 anni di ricerca sui veicoli autonomi è veramente impressionante. Sono molto contento di lavorare su una tecnologia che stiamo già testando sulle strade in California e in Arizona, e che è veramente vicina a essere resa disponibile a milioni di persone. La rivoluzione delle auto a guida autonoma è già iniziata.

Per Hyperloop eri responsabile della sicurezza: esattamente di cosa ti occupi per Waymo?

Mi occupo sempre di sicurezza: System Safety, per essere precisi. Vale a dire lavorare su tutti gli aspetti della progettazione e messa in servizio per assicurarci che il software e l’hardware che guidano l’automobile siano sicuri per l’utente finale, cioè il passeggero. Per fare questo utilizziamo sia metodi ingegneristici “classici” sia nuove metodologie che abbiamo sviluppato internamente, per testare la sicurezza della nostra intelligenza artificiale in tutte le possibili condizioni che potremmo incontrare sulla strada. Waymo si occupa di sviluppare il “guidatore” e la nostra mission è proprio quella di sviluppare il guidatore più esperto al mondo. Il che significa occuparsi di parte software, hardware e sensori.

In parole semplici: come funziona la macchina a guida automatica cui lavori e che caratteristiche ha?

Le nostre self-driving car sono equipaggiate con sensori per determinare la propria posizione e percepire l’ambiente intorno a loro a 360 gradi tramite telecamere per catturare immagini ad alta definizione, sensori chiamati lidar, che emettono un fascio laser invisibile all’occhio umano per determinare distanza e profondità, radar per determinare la velocità relativa degli oggetti percepiti e altri sensori come microfoni per sentire e localizzare clacson o sirene. Una volta percepito l’ambiente circostante, le intelligenze artificiali del veicolo classificano tutto quello che hanno visto, dando un nome a ogni oggetto: cartelli stradali, pedoni, automobili, cani e gatti, motociclisti. Questo è reso possibile dal fatto che le reti neurali vengono allenate a vedere centinaia di migliaia di immagini catalogate di oggetti che potrebbero incontrare, con una tecnica chiamata “supervised learning”, in modo che poi siano in grado di riconoscerli durante il tragitto.

E gli imprevisti? Come si prevengono?

Una volta che il veicolo ha classificato quello che sta intorno, l’intelligenza artificiale del veicolo deve fare la cosa più complessa: prevedere quello che succederà nel futuro. Il pedone che si sta avvicinando all’attraversamento deciderà di fermarsi o di attraversare? La macchina nella corsia a fianco procederà dritta o mi verrà addosso? Con l’aiuto dell’intelligenza artificiale il veicolo calcola tutte le possibili rotte degli oggetti percepiti e poi prevede qual è la più probabile in base al contesto. Infine, una volta percepito l’ambiente, classificato e predetto quello che potrebbe accadere, il veicolo autonomo pianifica la sua rotta e la esegue, mandando comandi ad acceleratore, freni e sterzo.

Quali sono i prototipi?

Attualmente siamo alla quinta generazione di veicoli da quando abbiamo cominciato nel 2009 - all’epoca si chiamava Google Self-Driving Car Project -. La nostra flotta è composta da Chrysler Pacifica, un minivan a propulsione ibrida prodotto da FCA con cui abbiamo una partnership. Abbiamo anche siglato un accordo con il gruppo Jaguar-Land Rover e presto aggiungeremo alla nostra flotta le Jaguar I-Pace, un SUV a propulsione elettrica che è appena uscito sul mercato. Infine abbiamo anche qualche camion.

I test si stanno facendo dal 2009: a che punto siamo?

Abbiamo fatto tanta strada, letteralmente. Le nostre macchine hanno percorso più di 10 milioni di miglia (16 milioni di km) in autonomia su strade pubbliche in California e Arizona. Nel dicembre dell’anno scorso abbiamo lanciato il primo servizio di robotaxi al mondo, chiamato Waymo One, nella periferia di Phoenix in Arizona: le persone che fanno parte del programma pilota sono in grado di chiamare un veicolo autonomo con un’app sul cellulare che li viene a prendere in totale autonomia e li porta alla loro destinazione in maniera completamente autonoma. Nel corso del 2019 espanderemo il servizio a un numero sempre maggiore di aree, con più veicoli.

Al momento quanto sono sicure queste auto? E una volta in commercio, saranno più sicure di quelle con guidatore umano?

La nostra missione è quella di creare il guidatore più esperto e sicuro al mondo. Ogni anno muoiono più di 1.2 milioni di persone al mondo a causa di incidenti stradali. Il 90% degli incidenti sulle strade è causata da errore umano e in particolare da distrazione – come l’uso del cellulare mentre si guida - stanchezza, velocità eccessiva e uso di sostanze come l’alcol. I veicoli autonomi potranno ridurre queste cifre in modo considerevole, grazie al fatto che sono in grado di vedere più lontano dell’uomo, hanno un campo visivo di 360 gradi e hanno maggiore reattività. La principale motivazione che mi ha spinto a entrare in Waymo è proprio la mia forte convinzione che la guida autonoma avrà un grandissimo impatto nel rendere le nostre strade più sicure.

E come si regola il traffico cittadino con i sensori? Come si farà a fare andare su strade come quelle di Genova le auto che si guidano da sole?

Le nostre macchine non hanno bisogno di infrastrutture particolari, sono in grado di riconoscere semafori, stop, cartelli stradali e anche vigili che dirigono il traffico proprio come un essere umano.

John Krafcik, numero uno di Waymo, ha scelto Torino per annunciare che il gruppo guarda con interesse al mercato europeo per una sua futura espansione: potresti tornare in Italia?

Questa è la domanda che mi fanno sempre i miei genitori e mia suocera, soprattutto da quando io e mia moglie abbiamo avuto un figlio. Sono sicuro che ci saranno grandissime opportunità nei prossimi anni in Europa e in Italia. Grandi gruppi automobilistici come Volkswagen hanno annunciato investimenti considerevoli nelle tecnologie di guida autonoma. Tuttavia, oggi, il cuore dell’innovazione è ancora qua, in Silicon Valley, dove Google, ora Waymo, ha cominciato a lavorare alle driverless car 10 anni fa, nel 2009. Sono onorato di fare parte di questo team di pionieri di questa tecnologia, e in futuro mi piacerebbe portare quello che ho imparato in Italia, ma non in un futuro imminente.

Cosa significa lavorare per colossi come Google? Sarà il sogno di ogni ingegnere: pensavi che da Genova saresti approdato nella Silicon Valley? Non ce ne sono tanti come te, sei un fuoriclasse…

Da quando ero adolescente ho avuto sempre il sogno di venire a lavorare negli Stati Uniti. Mi ricordo bene il mio primo viaggio in California con i miei genitori nel 1997, quando avevo 13 anni, e il fatto di aver pensato “io qui ci voglio tornare”. Poi ho avuto sempre la passione per i computer e il mio sogno all’epoca era di andare a lavorare per uno dei colossi come da Microsoft, Apple o IBM. In quegli anni lessi il libro di Bill Gates “La strada che porta a domani” e rimasi affascinato dalle potenzialità delle nuove tecnologie come Internet. Mi son portato questo sogno dietro e, a distanza di vent’anni - con un po’ di tenacia ed un po’ di fortuna - sono approdato in Silicon Valley. L’ambiente lavorativo è fantastico e noi ingegneri siamo molto “coccolati”: dai campi di atletica, ai massaggi gratis, gli chef che preparano colazione, pranzo e cena… ma la cosa più bella è quella di lavorare a fianco di persone eccezionali, che sono molto “approcciabili”. Non è raro, ad esempio, incontrare Sergey (Sergey Brin, fondatore di Google, ndr.) a mensa e scambiare due chiacchiere su quello su cui stai lavorando.

Medea Garrone

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