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Politica | 17 novembre 2020, 10:00

Arcerol Mittal, Marta Brusoni: "La tutela del lavoro viene prima di tutto"

La capogruppo di Vince Genova riporterà il tema all'attenzione del consiglio comunale: "L'emergenza sanitaria non diventi un alibi per lasciare in sospeso la questione"

Marta Brusoni

Marta Brusoni

"Esprimo tutta la mia solidarietà e vicinanza ai dipendenti dell'ArcerolMittal di Genova e assicuro loro che sottoporrò all’attenzione del consiglio comunale tutte le più valide argomentazioni per il mantenimento del posto di lavoro e la tutela della professione".

Marta Brusoni, capogruppo in consiglio comunale di Vince Genova, si schiera al fianco dei lavoratori dell’ArcerolMittal protagonisti nei giorni scorsi di una manifestazione organizzata per le vie del centro di Genova - e terminata in Prefettura - contro i licenziamenti di tre operai giudicati illegittimi e lo stop alla produzione. Una presa di posizione chiara e netta giunta a pochi mesi dall’incontro dello scorso luglio quando una delegazione di Fiom Cgil, Fim Cisl e Uil Uilm ricevette la capogruppo di Vince Genova per comprendere e trasferire in Comune le preoccupazioni dei lavoratori dello stabilimento genovese.

"In quell'occasione avevo percepito il malumore riguardo ad un futuro lavorativo incerto – prosegue Marta Brusoni -. Purtroppo da allora non sono stati fatti passi avanti. L’emergenza sanitaria non deve diventare un alibi per lasciare in sospeso la questione".

Quella degli operai di ArcerolMittal è una protesta che dura ormai da anni sfociata nelle scorse ore con il blocco dei varchi di accesso dello stabilimento genovese. A far scattare la scintilla è stata la decisione dei vertici del gruppo ArcelorMittal di licenziare tre dipendenti (che dovrebbero diventare quattro) accusati di aver sottratto del materiale e di aver commentato su un gruppo privato di whatsapp queste operazioni offendendo il direttore. 

Accordo di programma

Attualmente sono 10.700 i lavoratori in cassa integrazione divisi tra gli stabilimenti di Genova, Novi Ligure, Taranto e gli altri. L’accordo a livello nazionale, siglato il 1 novembre 2018, prevede l’affitto degli stabilimenti ex Ilva (in amministrazione straordinaria e proprietaria degli impianti) da parte Arcerol Mittal (attuale gestore) con la clausola (e il timore) che quest’ultimo abbandoni gli impianti a fronte del pagamento di 500 milioni in base all’accordo del 4 marzo scorso in scadenza il 30 novembre. Giorno in cui ArcerolMittal potrà recedere il contratto. Se Mittal dovesse annullare l’accordo a quel punto il futuro di circa 20mila lavoratori tornerebbe in bilico, di cui oltre mille a Genova Cornigliano. L'alternativa proposta da Roma è l'ingresso dello Stato nell’ex Ilva attraverso Invitalia. 

Incerto il futuro della sede di Genova

Il 18 giugno scorso, dopo la protesta di lavoratori e sindacati, Fiom Cgil, Fim Cisl e Uil Uilm avevano raggiunto un accordo per la proroga del periodo di cassa integrazione per ulteriori due settimane e la rotazione di 950 lavoratori dello stabilimento genovese dei 1001 che hanno lavorato ciascuno due settimane su quattro. Secondo i sindacati si era trattato di un buon compromesso migliorativo rispetto a quello del 26 maggio, grazie soprattutto all'aumento di ordini per il segmento della banda stagnata e la riattivazione della linea taglio rottame e imballo rotoli.

L’impasse però era dietro l’angolo. "Il settore industriale in Italia è purtroppo sottovalutato – aveva spiegato durante l’incontro Armando Palombo di Fiom Cgil-. L’industria è passata in secondo piano e in particolare a Genova la siderurgia è diventata un cruccio. In Ilva (oggi sotto la gestione Arcerol Mittal, n.d.r.). Siamo passati in pochi anni da 2740 lavoratori nel 2005 ai 997 di oggi. Una perdita considerevole di risorse e forza lavoro. Quello che chiediamo è che ci sia da parte degli amministratori e del governo più attenzione per difendere il reddito e il lavoro". 

Lo scorso maggio a Genova c’era stata una prima manifestazione post Covid-19 organizzata da Fiom a sostegno dei lavoratori di Arcerol Mittal (ex ilva). I lavoratori dello stabilimento di Cornigliano già allora avevano sfilato con indosso le mascherine fino alla Prefettura.

La causa della protesta, la cassa integrazione introdotta per 200 lavoratori a soli 15 giorni dalla ripresa a pieno regime dell’attività dello stabilimento. "Lo stabilimento ha attualmente due zincature in azione: durante l’emergenza coronavirus sono state chiuse entrambe riducendo di fatto la domanda richiesta – avevano precisato i rappresentanti dei sindacati -. A Genova ci sono attualmente due linee di produzione: la zincata, appunto, e la stagnata. Quest’ultima è l’unica presente in Italia dove la domanda di mercato è di 800 mila tonnellate all’anno e la produzione è di 130 mila realizzata nel nostro Paese solo dal nostro stabilimento".

Terminato il periodo del primolock-down, sindacati e lavoratori attendevano la ripresa dell’attività a pieno regime che attualmente conta 1001 lavoratori a libro paga di cui 650 in procinto di rientrare sul posto di lavoro.

A maggio la mossa aziendale (200 mandati in cassa integrazione) aveva spiazzato i lavoratori che avevano temuto, e temono ancora oggi, un graduale disimpegno dell’attività.

Sullo sfondo si registrano altri segnali contrastanti che mettono in allarme dipendenti e sindacati. In particolare si segnalano anomalie nelle relazioni industriali: vengono annunciati alle organizzazioni sindacali assetti di marcia e ripartenze di impianti poi, a distanza di pochi minuti, riaggiornati o cancellati in autonomia.


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