Lo scorso 17 ottobre una bambina che abitava a Ca’ Nuova, sulle alture del Ponente genovese, avrebbe festeggiato il suo compleanno. Con la torta, con i regali, con i palloncini e i festoni, con le amichette e gli amichetti, come tutte quelle e tutti quelli della sua età.
Peccato che Noemj non sia riuscita a farlo. Non l’ha potuto fare perché, il 16 giugno, all’età di otto anni, un male incurabile se l’è portata via. Per sempre. Ma per quanto il dolore sia una misura ancora molto difficile da colmare, i suoi genitori, Daniela e Luigi, hanno voluto che la festa ci fosse lo stesso. Hanno coinvolto le loro figlie maggiori, Sabrina e Sharon, hanno coinvolto tutto il quartiere e hanno onorato la memoria di Noemj come meglio non si poteva.
Lo avevano promesso alla loro figlia, mentre combatteva una delle sue ultime battaglie, con tutta l’energia che aveva saputo metterci; lo avevano promesso a loro stessi: che Noemj non sarebbe passata così, “perché tutte le mattine desidero svegliarmi, alzare la tapparella e vedere lei”, aveva detto la mamma, una ragazza di una forza e di una dignità eccezionali.
Ed ecco che, lo scorso 17 ottobre, in via 2 Dicembre, ovvero nella parte alta di Ca’ Nuova (zona conosciuta popolarmente anche come Cep) è comparso un murales con il ritratto di Noemj, il panorama di Napoli con il Vesuvio sullo sfondo (la bambina era innamoratissima di questa città, da cui proviene la sua famiglia, ed era anche molto tifosa del Napoli) e una scritta che solo a leggerla fa commuovere, per chi conosce la storia che c’è dietro (e anche un po’ per chi non la conosce): “Una persona non muore mai, se c’è qualcuno che la ricorda”. E poi, il nome di Noemj.
“La mia bambina resterà sempre viva ed è stata una grande guerriera - racconta mamma Daniela - Il giorno del suo compleanno sono stati sparati i fuochi d’artificio, è stato inaugurato il murales, tutte le persone che ci vogliono bene, e che ne volevano a lei, erano insieme a noi. Era una promessa a cui non potevo mancare: perché Noemj si meritava tutto. Tutto”.
Alla fine dell’inaugurazione, decine di palloncini bianchi sono stati liberati in cielo. C’è una scritta, accanto al murales di Noemj, che evoca proprio il vento che li ha fatti salire in alto: “È per te questo bacio nel vento, te lo manderò lì, con almeno altri cento. E nessuno si amerà mai, come ci siamo amati noi”.
Già, il vento. In Giappone, in un villaggio del Nord del paese devastato dallo tsunami nel 2011, esisteva ed esiste ancora una vecchia cabina del telefono, con all’interno un apparecchio che non è collegato a nessun filo e che non funziona. Si chiama ‘Telefono del vento’ e, negli anni, è diventato meta di un’infinita processione di persone che vengono qui a rielaborare il proprio lutto. Entrano nella cabina, sollevano la cornetta e parlano con chi si trova nell’aldilà. Escono dalla cabina e sono rigenerati, all’idea che proprio il vento possa trascinare le loro parole così lontano.
C’è un romanzo, scritto da Laura Imai Messina, che lo racconta in maniera eccezionale: delicatissima, una carezza. Come la carezza che fa il vento di chi si ferma in via 2 Dicembre di fronte a questo murales. E, a questo punto, non importa più se conoscesse o non conoscesse Noemj: perché l’emozione è la stessa. Nessuno la dimenticherà più, tutti la vedranno dalla strada, dai palazzi, dalle fermate del bus. Mentre lei, Noemj, continuerà a guardare loro e a guardare dall’alto, finalmente dall’alto e senza soffrire, quel Vesuvio che così tanto amava.

















