La tradizione genovese legata al cantautorato resta un pilastro indiscutibile della scena musicale. Negli ultimi tempi, però, la città sta accogliendo e abbracciando tutte le più varie declinazioni: dal rap alla trap, passando per il nuovo underground e arrivando al folk. Ed è proprio in quest’ultimo genere che la cantante e musicista genovese Charlie Risso si è ritagliata, nel corso degli anni, il suo spazio, diventandone la vera e propria portavoce. Il suo esordio, intitolato “Ruins of memories” e pubblicato nel 2016, è stato subito accolto da pubblico e critica con entusiasmo, in grado di mescolare folk, rock e una vocalità eterea e calda allo stesso tempo.
A distanza di sei anni, e di due dall’ultimo album “Tornado”, è uscito il suo ultimo EP, “The Light”. Quattro tracce che segnano l’evoluzione del percorso artistico di Charlie Risso, che dal folk rock abbraccia sonorità più elettroniche, anche grazie alla produzione artistica di Federico Dragogna dei Ministri.
L’EP è stato mixato e masterizzato al Greenfog Studio di Genova.
C’è stato un cambio di sonorità in questo tuo ultimo album, vuoi raccontarci come si è evoluta la tua musica?
“E’ stato un esperimento nato un po’ a caso. Ho sempre lavorato con Mattia Cominotto del Greenfog Studio, che a Genova è un’istituzione. Siamo amici da tanto tempo e il mio primo disco l’ho fatto con lui. Era un percorso naturale finché a un certo punto mi ha detto di aver sottoposto due o tre bozze di pezzi nuovi a Federico Dragogna. Loro sono amici e lavorano insieme, Federico sta registrando proprio da Mattia, e quindi casualmente poi io ho accettato di buon grado e ci siamo visti per parlarne. Di solito il produttore cerca di spiegare a chi deve registrare le nuove canzoni quali direzioni prendere: si fanno ascolti, si crea una playlist condivisa. In questo caso Dragogna ha tirato fuori sonorità nordiche che a me piacciono molto”.
Il giorno in cui avete pubblicato la prima foto insieme su Instagram c’è stato uno sussulto, perché i vostri sembravano due mondi quasi inavvicinabili sotto tanti punti di vista: tu più eterea, lui più sanguigno.
“Federico ha una grande sensibilità, quindi è capace di trattare vari generi, vari mondi, perché poi, naturalmente lui è chitarrista nonché autore di tanti pezzi dei Ministri, stra-energetici, e ha una grande conoscenza della musica e delle varie tipologie. Non ho avuto l’ansia che non potesse essere una percorso giusto, perché abbiamo fatto scelte molto naturali e spontanee, e abbiamo voglia di fare ancora delle cose insieme”.
Nel panorama genovese, ma anche in Italia, ci sono poche voci interessanti e che riescono ad abbracciare così tante influenze e generi come fai tu. Quali sono i tuoi riferimenti artistici?
“Sono partita dai grandi classici americani e inglesi, e non posso non citare nomi Bob Dylan, i Beatles e anche Neil Young. Avendo poi basi solide, mi sono concessa qualche distrazione più pop. Questo dovrebbe essere, secondo me, il processo di chi si affaccia al mondo della musica oggii: partire dalle basi per poi sviluppare i propri gusti personali. Sono una fan dei Radiohead accanitissima, amavo Enya e le sue sonorità celtiche, poi ancora i Portishead e quelle influenze quasi all’avanguardia per l’epoca: sono brani che hanno più di vent’anni e sembrano sempre attuali, freschissimi”.
Che poi è quello che succede ascoltando le tue canzoni. Difficilmente si riescono a collocare in un momento storico, soprattutto ora che la musica è tanto moda e si riesce a incasellare subito il momento in cui è stata incisa una canzone.
“Secondo me il primo disco, l’esordio, 'Ruins of memories' era più folk. Ho fatto tanti live, tante cover ‘american folk’, ho girato tanto con i Red Wine che fanno musica bluegrass e riempiono, devo dire, anche teatri a Genova con doppie date e che a novembre suoneranno alla Claque. Ho suonato tanto con loro, e forse un po’ questa influenza folk fusa al contemporaneo mi identifica, ma il primo disco era decisamente più folk. C’era qualche canzone sperimentale, un pochino di passaggio che poteva essere giusto 'The Roa', 'Live' è una delle più apprezzate del disco, 'Stereor' che è una via di mezzo. E’ stato proprio un passaggio anche di scrittura, di modalità”.
Abbiamo parlato di live, dove possiamo vederti dopo l’uscita dell’EP?
“Farò un live il 5 novembre da Paolo Sussone Liutaio, un carissimo amico che organizza meravigliosi live raccolti, con pochissime persone, nel suo spazio di piazza Campetto. Lui è un fenomeno a Genova: Jack Savoretti ha suonato da lui, una delle sue chitarre è andata a Ben Harper, ha suonato anche Max Manfredi. La mia amica Roberta Barabino è stata lì.
Organizza eventi molto raccolti e molto belli. Nel frattempo l’ufficio stampa e soprattutto l’agenzia di booking è al lavoro sulle date nuove e speriamo anche di cominciare a incasellare una serie di opportunità anche fuori, cercando di mettere un piede anche all’estero”.
Hai recentemente suonato all’ultimo appuntamento del Sofar, i concerti segreti in cui non si sa chi salirà sul palco. Che esperienza è stata? Che emozione è per un’artista cantare davanti a un pubblico che fondamentalmente non ti sta aspettando?
“E’ bellissimo perché è come suonare all’estero, ti misuri con la verità. Molto spesso ti aspetti che amici, parenti debbano presenziare e, poveretti, se suoni da sette anni non ti puoi aspettare che vengano sempre. In realtà devi far gioco sulle persone, devi piacere, deve piacere quello che fai. Secondo me è difficile misurarsi sempre in ambienti molto intimi, dove si sente lo schiocco delle labbra, dove si sente il rumore delle dita sulle corde, dove si sente ogni dettaglio. Sei molto a contatto, molto vicino, ma essere a sorpresa è una bellissima cosa perché non ci sono preconcetti, non ci sono aspettative quindi viene fuori la verità, se piaci o se non piace e devo dire che questa formula mi piace molto. Non ci sono fronzoli, non ci sono complimenti a tutti i costi. Mi interessa misurarmi con chi non mi ha mai sentito. È bello essere umani, siamo tutti nello stesso mondo, questa è la cosa importante. E’ importante condividere emozioni, provarle davvero e poterle trasmettere”.