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Attualità | 06 marzo 2024, 18:00

8 Marzo, Linda Repetti, la giardiniera dello stadio ‘Luigi Ferraris’: “Quel prato è un po’ il mio terzo figlio”

È l’unica donna in Europa a prendersi cura di un campo professionistico dentro un impianto da migliaia di posti: “I più giovani hanno rispetto e stima per il mio lavoro, mentre con i coetanei si fatica di più”. “I cori sessisti? Spesso ci rimango molto male”

8 Marzo, Linda Repetti, la giardiniera dello stadio ‘Luigi Ferraris’: “Quel prato è un po’ il mio terzo figlio”

Se il manto erboso del prato dello Stadio Luigi Ferraris è ‘perfetto’, il merito è di Linda Repetti, l’unica donna in Europa a lavorare come giardiniera e a prendersi cura del terreno di gioco di un campo da calcio. 

A lei sono stati dedicati diversi articoli nel corso degli anni: essere donna e fare un mestiere considerato prevalentemente, se non totalmente, maschile riesce ancora a fare notizia. In occasione dell’avvicinarsi dell’8 Marzo, ci fa un enorme piacere raccontare la storia di chi è riuscito a conquistare il suo spazio e a mettere a frutto la propria passione e competenza per fare il lavoro che ama, con buona pace di chi, ancora, sembra stupirsi.

Due figli, un cane, un marito: Linda Repetti ha una vita piena dentro e fuori dal campo, in cui lavora sei giorni su sette per otto ore al giorno, a volte anche di più. Prima di iniziare la nostra chiacchierata, ci tiene a sottolineare che è la prima intervista che rilascia a una donna e che è molto felice di potersi confrontare con una persona dello stesso sesso.

 

Come ha iniziato ad avvicinarsi a questo mestiere? 

“Fin da quando ero una bambina, amavo stare nella natura: mi piaceva aiutare mio nonno a fare l’orto quando eravamo in campagna. È proprio una passione vecchissima, ed è grazie a quello che ho poi iniziato a studiare agraria all’Istituto Marsano a Genova prima e all’Università di Agraria a Torino poi. Durante gli studi ho sempre fatto dei lavoretti, ma non ho mai fatto niente che c’entrasse con il verde perché il giardinaggio non era proprio un lavoro dove, da ragazza, ti prendevano facilmente a lavorare. In realtà lo stadio è il mio primo impiego nel verde, e da lì è nato un amore. Ho iniziato a lavorare allo Stadio di Genova alla fine del 2009, anche se è stato un rapporto po’ travagliato: nel 2013 ho avuto il mio primo figlio e non mi è stato rinnovato il contratto; dopo ho iniziato a fare la giardiniera sportiva alla Sciorba fino alla nascita del mio secondo figlio e anche lì non ho proseguito per la stessa ragione. A quel punto ero pronta a dire basta, a lasciar perdere, pensando non fosse il mondo giusto per una donna come me. Temevo che pensassero che una mamma potesse far paura, ma poi nell’estate 2018 sono stata richiamata al Ferraris per tornare a lavorare, e a quel punto c’è stata la mia rivincita. Oggi queste cose le ho fatte accettare: prima di tutto sono una mamma, e nonostante reputi il prato come il mio terzo figlio, gli altri due a casa sono i miei veri ‘capi’”.

Qual è la cosa più difficile del suo lavoro? Sicuramente è un mestiere dove si fatica, in balìa delle intemperie d’inverno, ma c’è qualche attività più impegnativa e complicata?

“In realtà non ho mai trovato nulla di veramente difficile: ci sono ovviamente delle giornate più faticose di altre, magari fredde, o quelle in cui resto al lavoro per tante ore. Non ho però mai trovato attività complicate, sono sempre sfide e dopo tanti anni che sono qui credo di aver visto tutti gli scenari possibili e le emergenze che potevano capitare. Noi lavoriamo tutti i giorni otto ore sei giorni su sette, compresi i week end. Generalmente quando le partite si giocano la domenica ho un giorno di festa infrasettimanale, di solito il mercoledì. È un lavoro faticoso”.  

I suoi colleghi sono tutti uomini, ma come vivono (o hanno vissuto a suo tempo, se lavorate insieme da tanto) la sua presenza? Erano straniti? 

“I miei colleghi cambiano ogni paio di anni. Ora Michele è con me da dopo il periodo Covid-19 e continuiamo ancora qui a collaborare insieme. Quando un uomo si trova a doversi interfacciare con una donna ha due atteggiamenti di solito: c’è chi prova a essere gentile e a dire ‘lascia, faccio io’; o c’è chi prova a sottometterti. Serve sempre un po’ di tempo per far capire che non ho bisogno di aiuto, che se sono qui posso lavorare tanto e come loro. Non mi si deve mettere da parte perché il lavoro è pesante e soprattutto spesso devo far capire che le competenze che abbiamo sono uguali. Quando si trova questo equilibrio si lavora bene, prima è un po’ difficile”. 

È più facile lavorare con i colleghi più giovani o con le persone un po’ più grandi d’età?

“Ci sono diversi collaboratori molto più giovani che vengono a darci una mano nei lavori di facchinaggio, hanno una ventina d’anni, e con loro c’è un ottimo rapporto: hanno un rispetto enorme per me e per il mio lavoro, sono educati e gentili e quindi con i ragazzi giovani è più facile. Con i coetanei invece risulta un po’ più complicato”. 

 

Sono passati alla storia i cori intonati dai tifosi interisti nel 2021, finiti sulle pagine di tutti i giornali. A parte quell’episodio, è capitato altre volte? Come lo ha vissuto?

“È capitato circa cinque o sei volte, senza esagerare, di ricevere insulti veri, pesanti, urlati in malo modo. Quelle sono state occasioni in cui sono rimasta davvero male, in cui qualcuno avrebbe potuto alzare la mano per fermare gli insulti verso una donna che stava lavorando. Una tifoseria addirittura è stata multata severamente dalla Procura per un episodio del genere.

Quanto accaduto con i tifosi dell’Inter l’ho vissuto in maniera diversa: non mi sono sentita offesa, perché era un coro con un doppio senso uscito male, ma che voleva essere simpatico. Io sono sempre stata una persona ironica. Questi ragazzi avevano finito di vedere la partita, avevano vinto, erano contenti, hanno cantato il coro ambiguo ma ci facciamo una risata. L’ho presa come goliardia, sono altri gli episodi in cui sono rimasta davvero male. Aver poi frequentato la scuola agraria mi ha fatto capire presto come sono i maschietti. Tutto nasce dalle parole, lo sappiamo benissimo”.

È un mestiere che comunque consiglierebbe ad altre donne, magari a una ragazza giovane che ora deve scegliere cosa studiare? 

“Assolutamente sì. Non vedo perché non dovrei, sottolineando che va preso più come una passione, perché la quantità di tempo che poi si trascorre al lavoro se non sei realmente appassionata non riesci a sostenerla. Se però decidesse di studiare altro magari può pensare di fare un lavoro migliore del mio (ride)”.

Salutiamoci con una curiosità: anche a casa ha un orto o un giardino, un posto in cui si ‘sporca’ ancora le mani? 

“Ho il giardino, ma sembra quello della Famiglia Addams in questo momento (ride ancora). Avevo anche l’orto ma non ho tempo di seguirlo tra i bambini da seguire e il cane. Per la gestione diciamo che seguo un po’ le stagioni: d’inverno lo lascio alla natura e poi d’estate cerco di metterlo in sesto. Se vieni a vedere il mio giardino non è proprio bello in tutte le stagioni, ma quando non si usa può cavarsela da solo, diciamo così. E poi è vero il detto… le scarpe del calzolaio sono sempre bucate”.

Chiara Orsetti

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