Chi lavora ogni giorno nel carcere di Marassi lo sa e lo vive quotidianamente sulla propria pelle: sovraffollamento, carenza di personale, spazi inadeguati sono cosa nota. Il carcere genovese, costruito nel 1892, oggi ospita oltre 700 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di circa 500. I dati sugli organici erano stati resi noti poche settimane fa: a Marassi, a fronte di 336 poliziotti previsti in organico, ne sono presenti 280. Ma non è solo una questione di numeri. Le celle spesso sono fatiscenti, le aree comuni inadeguate, le attività rieducative ridotte al minimo. La pandemia prima, e i tagli successivi, hanno ulteriormente compromesso le condizioni di vita all’interno dell’istituto. Gli agenti denunciano turni massacranti e scarsità di strumenti. I detenuti, spesso in attesa di giudizio, scontano una pena doppia: quella dell’incertezza e quella dell’abbandono.
Il garante regionale dei detenuti, Doriano Saracino, lo aveva detto: “Marassi è inadeguato sotto ogni punto di vista. Non garantisce né sicurezza né dignità”. La rivolta esplosa ieri tra le mura della casa circondariale genovese è solamente la dimostrazione concreta di come la struttura sia ormai fuori dal tempo, e riaccende i riflettori su uno dei temi che hanno animato la campagna elettorale e che smuovono la politica locale ormai da già un decennio: lo spostamento del carcere di Marassi. L’area era già stata individuata ed è l’ex Colisa a Coronata, ma poi la pratica è finita nelle maglie della politica e si è inevitabilmente arenata tra opposte posizioni, progetti sbandierati da una parte e smontati dall’altra.
Una volta sedata la rivolta, l’episodio di ieri si è immediatamente tradotto in un nuovo ‘sì’ contro ‘no’ allo spostamento del carcere. A intervenire anche il presidente della Regione, Marco Bucci: “È da tempo in corso un’interlocuzione tra i Ministeri della Giustizia e dello Sport con gli enti locali, Comune e Regione, con l’obiettivo di individuare un’area ove realizzare una nuova struttura moderna, funzionale e all’altezza delle esigenze dell’amministrazione penitenziaria. Una soluzione che garantirebbe contemporaneamente a Marassi una maggiore vivibilità e nuovi preziosi spazi di sviluppo, anche in vista di una ristrutturazione dello stadio Ferraris”. Le parole di Bucci vanno nel solco di quelle di Pietro Piciocchi, suo successore a Palazzo Tursi e candidato sindaco del centrodestra, che parlava di un lavoro con i ministeri di Giustizia e Sport per trasferire il carcere all’ex Colisa con tanto di accordo di programma all’orizzonte. Il trasferimento del penitenziario era parte anche del masterplan che l’ex amministrazione comunale aveva presentato (in piena campagna elettorale) per rendere pubblica la propria idea di riqualificazione dell’intero quartiere partendo dal restyling dello stadio ‘Luigi Ferraris’ e dell’intera area. Carcere compreso, teoricamente recuperato come spazio dedicato a sport, laboratori, verde attrezzato, forse anche un campus universitario.
Il fronte del “no” allo spostamento è capeggiato dalla neo-sindaca Silvia Salis (atleta della Polizia Penitenziaria ai tempi della sua esperienza olimpica), contraria al progetto di riqualificazione dello stadio e, con lui, dell’intero quartiere. Mentre proprio nelle ultime ore, alla luce della rivolta, si è unito al coro anche Guido Pregnolato, segretario regionale USPP, che ha risposto direttamente al presidente Bucci: “Le parole del presidente rischiano di distogliere l’attenzione dal vero problema, Marassi non ha bisogno di essere spostato, ma di essere sostenuto”. Pregnolato rilancia con la proposta di realizzare un nuovo carcere a Savona e, in conclusione, attacca nuovamente la Regione invitando ad “abbandonare proposte estemporanee e ad affrontare con serietà le vere emergenze del sistema carcerario coinvolgendo i rappresentanti sindacali della Polizia Penitenziaria in un tavolo di confronto. Non servono slogan, ma investimenti concreti”.
E non si pensi che lo spostamento sia un’idea figlia degli ultimi tempi, della campagna elettorale delle comunali, dello scontro contemporaneo tra due diverse visioni di città. Se ne trovano tracce già una decina di anni fa, quando l’allora ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri, con un passato di Prefetto a Genova, sollevava la riflessione su un eventuale spostamento del carcere in una zona più periferica.
Certo è che le immagini viste ieri, con i detenuti sui tetti, i video realizzati da chi vive nella zona, i mezzi di Polizia e Carabinieri in arrivo sul posto, il blocco al traffico nelle vie attorno al penitenziario, raccontano di una struttura di fatto ‘incastrata’ tra le case e lo stadio, che dimostra di stare a dir poco stretta, specie in momenti di allarme, tra chi vive la propria vita di tutti i giorni che si trova a fare i conti con una situazione al limite chiusa tra quattro mura.