Ogni domenica 'La Voce di Genova', grazie alla rubrica ‘Gen Z - Il mondo dei giovani’, offre uno sguardo sul mondo dei ragazzi e delle ragazze di oggi. L'autrice è Martina Colladon, laureata in Scienze della Comunicazione, che cercherà, settimana dopo settimana, di raccontare le mode, le difficoltà, le speranze e i progetti di chi è nato a cavallo del nuovo millennio.
Sono passati quasi sei anni dall’arrivo del Covid, eppure la sensazione condivisa è che non sia mai davvero andato via. Non dal corpo, non dalla testa, non dalle abitudini. La pandemia ha segnato un prima e un dopo che molti faticano ancora a ricucire: c’è chi ha ripreso il passo, chi barcolla da allora e chi non ha più ritrovato la propria versione precedente.
Non tutti l’hanno vissuta allo stesso modo. Qualcuno l’ha percepita come una pausa obbligata, quasi una sospensione utile a rallentare. Per altri, invece, è stata perdita totale: lavoro, routine, identità, relazioni. C’è chi non ha potuto salutare parenti e amici, chi è rimasto incastrato nella memoria di stanze vuote e chiamate video senza abbracci, chi si è svegliato un giorno rendendosi conto che la vita precedente non esisteva più.
Le conseguenze non sono state solo fisiche. Sul piano mentale e psicologico il dopo pandemia ha aperto strappi che ancora oggi non si richiudono. Il picco di disturbi alimentari, ad esempio, ha radici proprio in quei mesi: allenamenti forsennati in salotto seguendo tutorial su YouTube, improvvise ossessioni sul corpo, controllo, calorie, tutto per riempire un tempo improvvisamente senza confini. All’estremo opposto, c’è chi ha trovato rifugio nella totale immobilità, passando dall’iperattività all’assenza di qualsiasi stimolo. Divano, letto, schermo: routine minimale e anestetica.
Particolarmente delicata è stata la frattura adolescenziale. La pandemia ha colpito proprio in quegli anni in cui si costruisce identità, autonomia, socialità. Niente uscite, niente sport, niente primi amori, niente ribellioni, niente gruppo. Un’intera generazione è cresciuta senza crescere davvero. Qualcuno si è rifugiato nel gaming, trasformando lo schermo nell’unico spazio possibile. Qualcun altro si è ritirato dal mondo sociale così a lungo da non riuscire più, oggi, a rientrarci. Non per scelta, ma per timore, per perdita di allenamento emotivo.
E poi c’è stato il ritorno, che non è stato un vero ritorno. Le restrizioni ancora presenti, il lavoro ibrido, la scuola tra mascherine e aule dimezzate, la diffidenza nei contatti, l’imbarazzo nel riappropriarsi della normalità. All’inizio c’era una fame di vita enorme: uscite, viaggi, eventi, come se tutto dovesse recuperare in pochi mesi ciò che era stato negato. Ma per molti quell’entusiasmo è svanito presto, perché uscire dalla comfort zone costruita per due anni – camera, letto, divano – è stato più complesso del previsto. C’è chi ci ha provato e si è stancato, chi non ha neanche tentato, chi ancora è sospeso.
Il Covid non è più emergenza, ma resta eco. Ha cambiato ritmi, percezione del tempo, idee sullo stare con gli altri, sul valore della salute mentale. Ha rotto abitudini che non sono tornate e ne ha create altre che non sappiamo se chiamare riparo o gabbia. E ha colpito ognuno in modo diverso: c’è chi ha perso il lavoro, chi ha chiuso attività costruite in decenni, chi ha visto crollare interi settori, dal turismo alla ristorazione, senza avere il tempo di ripensarsi. Qualcuno ne porta ancora i segni economici più che psicologici, altri il contrario, molti entrambi.
La salute mentale, forse per la prima volta, è diventata un tema collettivo e non un sussurro privato. Non ha risparmiato nessuno: giovani, adulti, anziani, lavoratori, studenti, genitori, figli. Tutti ci siamo ritrovati fuori da un mondo che sembrava lo stesso, ma eravamo noi a non esserlo più. Ogni tanto lo ricordiamo quasi con un sorriso incredulo, come un ricordo surreale: “Ti ricordi che mettevamo la mascherina anche per andare a buttare la spazzatura?” “Ti ricordi i balconi, gli applausi, il lievito finito, la scuola in pigiama?”. E poi, improvvisamente, quel ricordo svanisce, come tutto ciò che non abbiamo ancora davvero elaborato.
Il mondo è andato avanti, ma non allo stesso ritmo per tutti. C’è chi corre, chi cammina, chi si ferma, chi è rimasto indietro. E non sempre è una scelta. Dopo quasi sei anni, più che guarire, stiamo ancora imparando a convivere con ciò che è cambiato senza che potessimo negoziarlo.














