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Attualità | 17 luglio 2019, 13:25

Umberto Valente, dai trapianti a Genova al Madagascar: “Sono un pensionato expat, non posso fare a meno del mio lavoro di medico”

Classe 1942, il Prof. Umberto Valente insegna Medicina e Chirurgia in Madagascar dopo essere stato un pioniere a Genova e in Italia nei trapianti di fegato. Lo abbiamo intervistato per parlare della sua attività in Madagascar, ma anche dei trapianti in Italia

Umberto Valente, dai trapianti a Genova al Madagascar: “Sono un pensionato expat, non posso fare a meno del mio lavoro di medico”

Il Professor Umberto Valente, luminare a Genova e in Italia nell’ambito dei trapianti di fegato, il cui centro nell’Ospedale San Martino era un’eccellenza (fondato negli anni’80 e poi chiuso tra le polemiche, non poche, nel 2012), oggi, è un “expat” classe 1942, che ha deciso di mettere a disposizione di pazienti e studenti di Medicina la propria esperienza. Per questo, da quando è andato in pensione, è partito per l’Africa e il Medio Oriente. Dal Congo all’Afghanistan fino al Madagascar, dove insegna (e opera), come unico docente europeo, all’Ospedale Le Polyclinique, dove spera chealcuni miei colleghi possano venire a dare il loro contributo”. 

E chiunque volesse aiutare la Onlus NEXT che gestisce l'ospedale può donare a questo link:  https://www.nextonlus.it/x-una-operazione-in-piu/

Dopo Genova la decisione di partire per l’Africa: perché? Avrebbe potuto godersi la pensione…

È quello che dicono anche i miei figli… Una prima considerazione, che sembra banale e scontata: io faccio parte di quella generazione di uomini allevati e cresciuti con la “forma mentis” del “tutto dedito al lavoro”; a questo si aggiunge, devo riconoscerlo, la realtà dura del mio lavoro e del coinvolgimento pieno. Ma, come dice lei, una volta in pensione, avrei potuto sentirmi libero e “godermi la vita”. La verità, per concludere, penso sia questa: il mio lavoro mi appassiona, sono un medico convinto.

 Attualmente è l’unico europeo ad insegnare all’Università Diego Suarez, nell’ospedale Le Polyclinique in Madagascar: da quanto tempo è lì e che cosa insegna?

Mi trovo qui a Diego Suarez da tre anni. La città è situata nel Nord del Madagascar, uno dei tre Paesi più poveri al mondo. Nell’ospedale Le Polyclinique NEXT, oltre all’aspetto strettamente assistenziale e chirurgico, insegno Chirurgia Generale agli studenti del 6° anno del Corso di medicina. Tengo lezioni teoriche in aula utilizzando un manichino di base, la proiezione di slide illustrative e i testi che ho portato dall’Italia; quindi mi faccio affiancare dagli studenti in sala operatoria per l’attività formativa pratica.

Cosa significa essere uno studente e un docente di Medicina in Madagascar e a Genova? Lei stesso ha portato i suoi libri nella nuova e prima biblioteca della Facoltà.

Le due realtà sono molto diverse: se uno studente di Medicina venisse qui a trascorrere un anno Accademico…beh penso che, come in tutte le situazioni che si vivono qui, non potrebbe far altro che ringraziare di essere nato in Italia: una facoltà dove non esistono testi di studio, dove Internet è inaccessibile e talora manca la corrente elettrica… Come docente, al contrario, qui c’è tantissimo da fare e da insegnare. Per un “navigato” come me, ci sarebbe la possibilità di trascorrere intere giornate, mesi, anni a profondere cultura e nozioni mediche a giovani che hanno tanta “sete” di conoscenza e colmare quindi il grande vuoto “istituzionale”.

Ci sarà anche una collaborazione con l’Università di Genova? So che sta progettando l'attivazione di videoconferenze e lezioni che l'Università di Genova metterebbe a disposizione.

Quattro mesi fa è stata firmata una convenzione tra l’Università di Genova e l’Università di Diego Suarez. Stiamo procedendo molto bene: alcuni studenti genovesi dovrebbero arrivare prossimamente, forse in agosto, qui a Le Polyclinique Universitaire NEXT per fare pratica di chirurgia, in sala operatoria con me. Per contro, l’Università di Genova sta preparando del materiale di videoconferenze che sarà di grande utilità per gli studenti malgasci. Auspico che, come sembrerebbe da messaggi che giornalmente mi arrivano, alcuni miei colleghi possano venire a dare il loro contributo, sia formativo che clinico. Inoltre per chi volesse contribuire alla campagna di fund raising della NEXT onlus a favore della mia missione umanitaria a Diego Suarez, questo è il link: https://www.nextonlus.it/x-una-operazione-in-piu/

In precedenza l’esperienza con Medici senza Frontiere in Congo: di che cosa si è occupato in particolare? Nel 2014 c’era Ebola.

Non ho avuto esperienze di ebola: nei territori dove io ho lavorato non era presente. Con Medici senza Frontiere ho avuto un’esperienza abbastanza lunga, durata circa 3 anni. Con loro mi occupavo principalmente di chirurgia d’urgenza. Una minima parte era dedicata a quella elettiva, che peraltro richiedeva un iter burocratico così macchinoso che mi ha portato a chiudere l’esperienza con loro. Non si può lasciare morire delle persone perché sono casi che non rientrano nei loro protocolli… quando, mi permetto di dire, sopra i protocolli ci sono le indicazioni e le regole internazionali dell’OMS. Per non parlare della Carta internazionale dei diritti dei bambini… 

E poi ha lavorato con Emergency: che esperienza è stata? Quali sono le emergenze principali cui fare fronte?

Con Emergency, mi “duole” dirlo, è stata tutta un’altra esperienza. Mi “duole” perché, come capita in tutti i settori, anche in quello medico sanitario, si assiste alla crescita di un’organizzazione, quale Medici senza frontiere, che si espande così tanto da involvere invece che evolvere. Non so se mi spiego… Emergency è una realtà più piccola e quindi ancora gestibile sotto tutti gli aspetti: sia medici che organizzativi. L’atmosfera è permeata di un grande spirito umanitario e la professionalità è altissima, sia medica che infermieristica.  Il “gioco di squadra” è molto forte e si lavora anche 24 ore su 24. Con Emergency sono stato in Afghanistan, nella valle del Panjshir, a 100 chilometri da Kabul. Lì operavamo soprattutto feriti di guerra.

Ha affermato che al contrario di MSF ed Emergency, la NEXT onlus, che si occupa de Le Polyclinique, ha iniziato un'opera di avvio e potenziamento di un ospedale che è l'unico in questa area del Madagascar che si occupa dei poveri. Cioè?

Luigi Bellini, il biologo di Napoli che venne in Madagascar più di 20 anni fa, presidente della ONG NEXT onlus (www.nextonlus.it), ha realizzato un ospedale, Le Polyclinique, a Diego Suarez, su modello europeo. Le Polyclinique, infatti, è ben strutturato e organizzato: ci sono 120 posti letto; due sale operatorie; una sala parto e un seppur una minima sub intensiva.  È dotato di apparecchiature mediche, diagnostiche e pure un piccolo centro dialisi. Inoltre ha un triage, una sala autoptica, una lavanderia, una cucina e un bruciatore speciale per i rifiuti ospedalieri. Pronta per “l’uso”, la NEXT onlus ha cominciato ad assumere personale: oggi a Le Polyclinique lavorano circa 80 persone - tra medici, infermieri, addetti alle pulizie, custodi, cucinieri… - tutti malgasci. Il direttore sanitario è un medico radiologo che per anni ha lavorato negli ospedali pubblici di Diego Suarez. È l’unico medico malgascio presente: gli altri medici sono tutti expat come me: chi viene dall’Italia, dalla Germania, dalla Francia. In Madagascar non ci sono ancora medici specializzati e quindi l’ospedale deve ancora riferirsi agli europei. Venuto a conoscenza di questa realtà da un collega anestesista romano, incontrato in Burundi durante una missione con Medici senza Frontiere, sono venuto una prima volta tre anni fa in fase esplorativa.  Ho trovato un ambiente confacente al mio spirito umanitario: l’Ospedale Le Polyclinique, infatti, offre la possibilità alle persone povere di essere curate a costo zero. Ed è l’unico del suo genere qui in Madagascar. A Le Polyclinique NEXT, inoltre, ho la possibilità di gestire autonomamente il “reparto” di chirurgia e di seguire al meglio i miei pazienti. E aggiungo, come dicevo prima, qui ho la possibilità di insegnare, in quanto docente della Facoltà di Medicina UNA di Diego Suarez, e far crescere professionalmente i medici locali.    

Lei è stato un pioniere in Italia dei trapianti: in Madagascar si effettuano? Quali sono le condizioni per quanto riguarda interventi di questo tipo?

No, qui in Madagascar i trapianti sono un miraggio! Per fare trapianti occorrono condizioni e strutture complesse che solo gli Stati più “ricchi” se le possono permettere. Qui l’unico trapianto che posso eseguire è quello di pelle, in particolare nei casi di grandi ustioni, come ho già avuto modo di fare.

Nel 2012 se n’è andato, tra le polemiche, e da allora il centro trapianti del San Martino è stato smantellato e poi riaperto 4 anni fa. Oggi Il Gruppo del Partito Democratico ha presentato una risoluzione per “dare immediato mandato ad Alisa, tramite il DIAR e alla direzione generale dell’ospedale, di presentare entro il prossimo dicembre il progetto di completamento dell’attività di trapianto di fegato del San Martino, riportando al Policlinico la parte chirurgica-rianimatoria ora eseguita al Cà Granda Niguarda di Milano”. Cosa ne pensa?

Innanzi tutto, il Centro Trapianti dopo il suo smantellamento al momento della mia uscita non è stato mai riaperto. Era ed è rimasto in attività solo il trapianto renale - peraltro fortemente ridimensionata ed in condizioni oggettive di “inspiegabile” difficoltà operative - esclusivamente grazie alla grande professionalità e abnegazione della mia allieva dottoressa Iris Fontana. Il trapianto di fegato non mai stato riattivato bensì trasferito all’Ospedale Niguarda di Milano con una convenzione - alquanto opinabile sotto tutti gli aspetti, sia per i pazienti che per i medici milanesi coinvolti -. l fatto poi che la proposta parta proprio dal Gruppo del Partito Democratico… mi fa ironicamente sorridere. In tutta sincerità, se davvero questa proposta avrà un seguito, penso che assisteremo ad una doppia beffa: è stata proprio la giunta di centro sinistra (con Burlando e Montaldo) a far chiudere il Centro trapianti, operazione che ha “bruciato” letteralmente milioni di euro dei contribuenti. Ora, che vogliano spendere milioni, soldi anche questi dei contribuenti, per ricostruire un Centro trapianti che già esisteva ed era il fiore all’occhiello del San Martino… beh, ne tragga lei le conseguenze. Senza contare, cosa ancora più importante, il know how medico-scientifico del Centro Trapianti di allora: un patrimonio di risorse umane, di ricerca e di formazione (scuola di specialità e dottorato) difficilmente ricostruibile, se non dedicandovi molti anni come facemmo noi. In retrospettiva, direi che il Centro Trapianti fa parte ormai della storia di Genova e della sua Sanità dei tempi migliori. Una storia ben descritta nel libro “Un trapianto negato” di Camillo Arcuri, edito da Ferrari.

 

Com’è la situazione per quanto riguarda i trapianti in Italia, invece?

Siamo ben messi e ci sono centri importanti, a livello anche internazionale, che funzionano molto bene, quali Pisa, Milano, Torino, Bologna, Padova, Roma. Grazie ai farmaci che curano l’epatite C, i trapianti di fegato si ridurranno di circa il 30%, che non è poco. E questo darà modo di accorciare notevolmente le liste di attesa. Perché il problema, ancora oggi, è questo: non esiste una normativa che consenta di implementare gli espianti. La legge del 1999, la prima nel nostro Paese, una delle prime in Europa, sui trapianti parla chiaro: per la manifestazione della volontà di donare vige il principio del consenso o del dissenso esplicito (art. 23 della Legge n. 91 del 1 aprile 1999; Decreto del Ministero della Salute 8 aprile 2000). Ma il "silenzio-assenso" introdotto dagli articoli 4 e 5 della Legge 91/99, di fatto, non ha mai trovato attuazione per mancanza del decreto apposito che avrebbe dovuto firmare il Ministro della Sanità in allora, la popolare Rosy Bindi. Nel 2013 la Legge di Conversione n.98 prevede la dichiarazione di volontà dei cittadini all’atto della prima richiesta o del rinnovo della carta di identità. Ogni Comune ha la libertà di partecipare o meno. Questo consente, almeno sulla carta, di avere una lista di donatori ufficiali. Mi dicono però che è ancora tutto molto vago…Da qualche mese il Centro Nazionale Trapianti, l’organo istituzionale che sovrintende tutto il complesso iter donazioni-espianti-trapianti di tutti i centri italiani, è diretto da un mio ex collega, già immunologo dei trapianti d’organo a Milano, il Dottor Massimo Cardillo che personalmente stimo molto.  Mi auguro che lui riesca a fare qualcosa di più di quello che ha fatto il suo predecessore: sono più di vent’anni che i malati aspettano. Non si può sempre “sperare” che arrivi una terapia alternativa alle malattie che portano i pazienti al trapianto degli organi.

 

Medea Garrone

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