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Eventi | 10 marzo 2023, 15:41

Protagonista e testimone delle avanguardie per mezzo secolo, la nuova mostra al Ducale "Man Ray. Opere 1912-1975"

La retrospettiva su quello che è stato un vero creatore di icone del XX secolo: "Una mostra che vogliamo susciti curiosità per le avanguardie, per l'arte contemporanea"

Protagonista e testimone delle avanguardie per mezzo secolo, la nuova mostra al Ducale "Man Ray. Opere 1912-1975"

Al via oggi a Palazzo Ducale la mostra "Man Ray. Opere 1912-1975", una sontuosa retrospettiva sull'opera dell'artista e sulla sua vita avventurosa, che permette di attraversare più di 50 anni di carriera dalle avanguardie alla contemporaneità sfogliando fotografie e immagini diventate iconiche.

Emmanuel Radnitzky, in arte Man Ray, nato a Filadelfia nel 1890 e morto a Parigi nel 1976, è infatti considerato uno dei più grandi fotografi del secolo scorso, ma anche straordinario pittore, scultore, regista d’avanguardia, soprattutto sperimentatore, testimone e protagonista al contempo del fermento culturale di Parigi degli anni '20 e non solo. 

Il progetto è firmato Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura di Genova e Suazes, impresa culturale e creativa con la quale Fondazione è alla sua quinta collaborazione.

La mostra – curata da Walter Guadagnini e Giangavino Pazzola – raccoglie circa 340 pezzi, fra fotografie, disegni, dipinti, sculture e  film: il percorso espositivo è un'occasione eccezionale per la qualità delle opere e per la loro provenienza da importanti collezioni nazionali e internazionali, e si dipana percorrendo cronologicamente la biografia dell'artista, ma anche approfondendo tematicamente i periodi parigini, le relazioni con gli altri artisti, primo fra tutti l'amico Marcel Duchamp, il rapporto con l'eros e le donne, il surrealismo. Una festa per gli occhi e uno stimolo per la curiosità di tutti coloro che desiderano immergersi nel fecondo periodo delle avanguardie di inizio Novecento e nella creatività di uno dei protagonisti assoluti di quella stagione, attivo poi anche nella seconda metà del secolo.

Dice con soddisfazione Guadagnini: “Questa è una mostra bella e importante, per noi per i numeri e la qualità delle opere, ma anche una mostra faticosa, quindi i ringraziamenti per chi ci ha lavorato sono più che dovuti e sinceri. Sono più di 300 opere, ma non spaventatevi! Una mostra grande che cerca di raccontare Man Ray a 360 gradi e che mostra come sia stato uno dei grandi fotografi del XX secolo, credo non ci siano dubbi, ma che sia stato anche un grande artista e questo lo dimostrano le non-fotografie della mostra, le sculture, i disegni, gli oggetti una parte della sua produzione che è meno conosciuto, a parte qualcosa, qualcosa c'è che ci ricorda Man Ray, ma magari non sappiamo che è stato lui, questo è una caratteristica dei realizzatori di icone, che a volte ci si ricorda l'icona ma non chi l'ha fatta. Questa è un po' quello che vedrete, un autore che lavora che occupa quasi un secolo, non è poco, attraverso questo lavoro si  leggono anche le evoluzioni della storia, buttate un occhio anche le scritte, la stessa biografia di Man Ray è affascinante, un americano che decide di venire in Europa perché Parigi è il centro del mondo, sono tutti lì, si inserisce subito e diventa un testimone ma anche un protagonista di questa storia”. 

Una mostra che si può percorrere “anche sorridendo, senza il cipiglio intellettuale” come raccomanda Guadagnini, ricordando l'ironia e la vitalità espressa da Man Ray in molte sue opere. 

La volontà dell’artista di rompere gli schemi e creare nuove estetiche, unita all’ironia e alla sensualità che permeano ogni sua opera, sono gli elementi che ne hanno ispirato e caratterizzato la poetica. Lo stesso Man Ray racconta nella sua autobiografia del carico di “entusiasmo a ogni nuova direzione imboccata dalla mia fantasia, e con l’aiuto dello spirito di contraddizione progettavo nuove escursioni nell’ignoto”.

La mostra intreccia i due percorsi come spiega Giangavino Pazzola “La mostra racchiude il racconto della carriera artistica di Man Ray, esponendo oltre 300 opere, tra disegno, scultura, fotografia, editoria... e tiene in piedi due registri: il racconto della biografia del registro, in sezioni temporali per decenni, dove la fotografia va di pari passo con un linguaggio. L'altro binario è legato alla biografia dell'artista e al rapporto con la comunità dadadista e surrealista.”

Due sezioni, dunque, che ne ripercorrono cronologicamente la biografia, dai suoi esordi nella New York di inizi Novecento, passando per la Parigi delle avanguardie storiche tra anni Venti e Trenta, fino a giungere agli ultimi anni della sua carriera e della vita, trascorsi tra gli Stati Uniti e Parigi.

Un viaggio che comincia – nella prima sezione – con una serie di autoritratti dell’artista, nei quali già si ritrova quell’idea di corpo che sarà centrale in tutta la sua produzione; autoritratti fotografici, tra cui quello celeberrimo con la barba tagliata a metà, ma anche calchi dorati, maschere, in una continua rappresentazione di sé e della propria ambigua e sempre mutante identità.  Ad essi si affiancano alcuni ritratti di Man Ray realizzati da grandi protagonisti dell’arte della seconda metà del Novecento come Andy Warhol (una splendida tela e una preziosa serigrafia), David Hockney e Giulio Paolini, a dimostrazione del rispetto e della considerazione di cui Man Ray ha sempre goduto nell’ambiente artistico.

La seconda sezione della mostra – "New York" – racconta il rapporto con la metropoli americana, dove l’artista tiene la sua prima personale alla Daniel Gallery nel 1915, i primi capolavori, la conoscenza con il mentore e amico di una vita Marcel Duchamp, protagonista della sezione successiva. 

Qui si trovano due autentiche icone dell’arte del XX secolo come La tonsure e Elevage de poussiére (entrambe realizzate nel 1921), fotografie che rimettono in discussione l’idea stessa di ritratto e di realtà, là dove la superficie impolverata di un vetro diventa un paesaggio alieno, futuribile. 

La sezione che segue è dedicata a Parigi e alla “scoperta della luce”, il periodo forse più iconico di Man Ray. L'artista giunge nella capitale francese nel 1921, accolto dallo stesso Duchamp e dall’intera comunità dadaista: il racconto degli Anni Venti e Trenta e dell’evasione dell’artista dalle abitudini e dalle convenzioni sociali americane viene sviluppato interamente attraverso la fotografia, tecnica alla quale Man Ray deve la parte più consistente della sua fama. 

“Quello che si può notare è come i protagonisti, Marcel Duchamp, ma anche Dora Maar, Mariet Oppenheim, Lee Miller fossero protagonisti degli scatti ma sono stati anche ispirazione dell'immaginario di Man Ray”, commenta Pazzola. 

Una comunità che vive, tra Dadaismo e Surrealismo, la sua stagione d’oro negli anni Venti e Trenta, un'incredibile rete di relazioni e stimoli intellettuali e artistici tra i vari protagonisti, a cui Ray si unisce come testimone e protagonista a sua volta. 

 

Proprio in questa sezione sono esposte le immagini dei personaggi che animavano il contesto culturale dell’epoca, che diventano protagoniste di alcuni dei capolavori assoluti dell’artista, bvere e proprie icone, entrate nella memoria collettiva. Ad esempio, la leggendaria modella Kiki De Montparnasse (soggetto di una delle immagini più celebri del XX secolo, Le Violon d’Ingres, esposto in mostra), oppure Lee Miller (assistente, compagna, musa ispiratrice e a sua volta grande fotografa, protagonista e complice di alcuni degli scatti più celebri di Man Ray), Meret Oppenheim e Nush Eluard, o artisti e intellettuali come Erik Satie, Antonin Artaud e Georges Braque. Nella  “Ville Lumière”,  Man Ray decide infatti di dedicarsi alla fotografia anche come professione, trovando uno studio, relazioni e strumenti propri per sostentarsi economicamente e instaurare legami di committenza con il mondo della moda, dell’arte e della cultura. È così che l’artista diventa il narratore per immagini di una delle stagioni più ricche di fascino della cultura del XX secolo, il ritrattista di un mondo irripetibile.

La mostra prosegue con le sezioni "Corpo surrealista" e "Corpo, ritratto e nudo". Temi fondamentali e ricorrenti nella ricerca visiva di Man Ray sono quelli del corpo e della sensualità, che nel periodo surrealista  diventano il centro della sua ispirazione, come dimostrano alcune delle immagini più note dell’artista esposte in questa occasione: le fotografie come Larmes, La Prière, Blanche et Noire, dipinti e grafiche come A l’heure de l’observatoire – Les Amoureux,  con le labbra di Kiki ingigantite che volano sopra il paesaggio, un’altra delle grandi icone inventate da Man Ray nella sua carriera, per giungere a una scultura come Venus restaurée, ironica e geniale riflessione sulla classicità. Un punto cardine nella storia del movimento è l’Exposition Internationale du Surréalisme del 1938, illustrata all’interno del percorso espositivo dalla serie fotografica Resurrection des mannequins (1938), e da numerosi prodotti editoriali creati a più mani per raccontare le varie modalità di rappresentare questa rivoluzione culturale e le intersezioni dell’avanguardia con il mondo reale. Nella serie Mode au Congo (1937), ad esempio, i copricapi centrafricani acquistati da Man Ray all'Esposizione coloniale di Parigi del 1931 sono sfoggiati come haute couture da modelle femminili, tra cui la compagna dell’epoca Ady Fidelin.  In questa sezione sono mostrate anche altre opere fotografiche come i ritratti di Meret Oppenheim al torchio da Louis Marcoussis e Models (1937), nucleo di lavori che presenta una raccolta quotidiana di fotografie di modelle e artiste che Man Ray aveva frequentato durante il primo periodo parigino, espressione di come l’erotismo e l’amore libero rappresentino non solo uno dei ricordi più intimi dell’autore ma anche uno dei motori propulsori della sua creatività.

Il 1940 segna l’anno del ritorno di Man Ray in America – prima a New York e successivamente a Los Angeles  –, un ritorno causato dall’impossibilità di vivere nella Parigi occupata dai nazisti. Nella sezione "Los Angeles/Paris" vengono indagati gli anni in cui l’artista preferisce rimanere ai margini della scena e lavorare in ritiro solitario, dedicandosi in particolare alla sua prima grande passione, la pittura. Allo stesso tempo, sono tempi segnati dalla relazione con la ballerina e modella Juliet Browner, musa della sua vita e protagonista della meravigliosa serie fotografica 50 Faces of Juliet, realizzata tra il 1941 e il 1955. Si tratta di cinquanta ritratti della donna realizzati con diverse tecniche e stili, spaziando tra i vari registri per esplorare le possibilità creative offerte dalla fotografia. Continua comunque in questi anni anche la realizzazione di nuovi ready made, così come possibile vedere ad esempio in Mr Knife and Miss Fork (1944-1973).

La sezione finale della mostra vede Man Ray attivo nuovamente a Parigi e in Europa, dove si consolida la sua fama di maestro dell’arte delle avanguardie. È una sorta di revisione, rilettura e aggiornamento del proprio percorso, rappresentata in mostra dagli splendidi dipinti Decanter (1942) e Corps à Corps (1952), da ready made come Pêchage (1972) e Pomme à vis (1973). La mostra si chiude dunque come era cominciata, con un maestro della luce che continua a reinventare il mondo attraverso l’arte, con infinita ironia e intelligenza. 

La mostra evidenzia l’originalità, le innovazioni e i contributi dell’artista nell’evoluzione e nell’ideazione anche del cinema d’avanguardia, con pellicole storiche proiettate in un ambiente autonomo quali – tra le altre – Le Retour à la raison (1923), Emak Bakia (1926), L'Étoile de mer (1928) e Les Mystères du château du dé (1929). 

Un autore multiforme, dunque. Contemporaneo, sperimentatore, enigmatico, ma anche ironico e affascinante, ideale a stimolare l'interesse anche del non appassionato. È questa la speranza di Serena Bertolucci, direttrice della fondazione Palazzo Ducale: “Soprattutto magari a chi non frequenta, a chi mi ha chiesto cosa vorrei che questa mostra lasciasse, rispondo la curiosità per il '900, il contemporaneo, anche quella è un'arte per tutti, basta aver voglia di conoscerla, speriamo che questa mostra renda tantissime persone curiose”.

Federico De Salvo

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