Quasi come a lasciare una sorta di testamento morale, l’ultima uscita di Papa Francesco lo ha visto varcare la porta del carcere di Regina Coeli in occasione del giovedì Santo. Per ovvi motivi non ha potuto lavare i piedi ai detenuti, come ha sempre fatto, ma non ha voluto far mancare la propria presenza. La porta di un altro carcere romano, quello di Rebibbia, era invece stata scelta dal Pontefice il 26 dicembre scorso per l’apertura del Giubileo del 2025.
Due gesti che sono manifesti del rapporto tra il Pontefice e il mondo del carcere. Le sue visite come momenti concreti di vicinanza, capaci di dare voce e dignità a chi spesso viene dimenticato. Per Papa Francesco il carcere non è mai stato uno strumento di punizione, ma un’opportunità per ricominciare.
Il 18 maggio 2024, durante una visita pastorale a Verona, Francesco ha incontrato circa cinquecento detenuti nel carcere di Montorio. Ha pranzato con loro, ascoltato le loro storie e parlato con franchezza delle difficoltà che si vivono dietro le sbarre. “Il carcere è un luogo di grande umanità”, ha detto, mettendo in risalto la forza interiore di chi, nonostante tutto, non rinuncia alla speranza di un futuro diverso. Poche settimane prima, il 28 aprile, aveva fatto tappa nella Casa di Reclusione Femminile della Giudecca, a Venezia. Anche lì ha voluto incontrare una per una le detenute, accogliendone i racconti e i silenzi. In quel contesto ha ribadito come il sovraffollamento e la carenza di risorse non debbano mai giustificare una perdita di dignità. “Il carcere può diventare un luogo di rinascita, se si investe nel rispetto e nella valorizzazione dei talenti”, ha detto, ricordando che la dignità non si cancella con la colpa. Tra i gesti più forti compiuti da Papa Francesco c’è, come detto, l’apertura, il 26 dicembre 2024, della Porta Santa all’interno del carcere romano di Rebibbia. Un evento senza precedenti nella storia della Chiesa, che ha voluto segnare con forza l’inizio del Giubileo del 2025. Quel giorno, la Porta Santa non si è aperta in una basilica, ma in un penitenziario, come a dire che la misericordia ha il dovere di arrivare prima là dove si fa più fatica a sperarla. In vista del Giubileo, il Papa ha anche lanciato un appello ai governi affinché valutino atti concreti di clemenza, come amnistie o condoni della pena, nella bolla “Spes non confundit”. Una richiesta forte, coerente con il messaggio evangelico che Francesco ha tradotto in gesti e parole: nessuno deve essere privato del diritto alla speranza.
La testimonianza diretta del valore delle parole di Papa Francesco arriva anche dalle parole di Doriano Saracino, garante ligure dei detenuti, testimone diretto del legame tra il Pontefice e chi si trova in stato di reclusione.
“Dal suo primo giovedì Santo si è sempre recato nei carceri, anche minorili, a lavare i piedi dei detenuti, sempre accompagnato da una riflessione molto semplice: ‘Perché loro sì e io no?’ - ha detto Saracino ai nostri microfoni - è facile marcare una distanza dal carcere, tutto questo, nella visione di Papa Francesco e non solo, con l’idea che i muri servono più a tranquillizzare chi si mette da una parte rispetto all’altra. Le vicende della vita ci possono portare a commettere errori, e non dimentichiamo che c’è chi è in carcere per reati di poco conto o per errori giudiziari. Le persone, se si scava a fondo, sono molto più simili di quanto si possa pensare. Anche Giovanni XXIII, eletto nel 1958, fece le sue prime visite all’ospedale pediatrico Bambin Gesù e al carcere di Regina Coeli e racconta l’episodio di un suo zio che era finito in carcere per un piccolo furto. Era come se avesse voluto abolire la distanza tra sé e i detenuti, che possono essere anche uno di famiglia. La persona detenuta è un fratello o una sorella che si trova in carcere, la visita è nel Dna del cristianesimo e lui lo ha fatto vedere fisicamente”.
Ma come veniva percepito Papa Francesco all’interno degli istituti penitenziari? “Una grande vicinanza e una grande preoccupazione per la sua malattia, con il timore per la sua morte - risponde Saracino - era una figura che chiedeva un gesto di clemenza, così come era stato percepito per Giovanni Paolo II che ha sempre chiesto un’attenzione al mondo dei carcerati, una voce che si ricordava sempre di loro. E questo vale anche per i detenuti non di fede cristiana. In questa occasione mi piace ricordare che anche la lettera pastorale del Vescovo di Genova, Marco Tasca, ha posto il tema del carcere al centro dell’attenzione della Chiesa”.