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Attualità | 06 maggio 2025, 15:04

La gioia della distanza, Franz Prati racconta quarant'anni di visioni architettoniche a Palazzo Grillo

Un'antologica a Genova svela il percorso del maestro tra architettura, paesaggio, teatro e la centralità del disegno come strumento di interpretazione del mondo

Disegni che danno forma a visioni, linee che sono in grado di spingere l’occhio alla ricerca e colori che completano profili e prospettive, intrecciando le arti garantendo loro la giusta ‘luce dei riflettori’.

Nell’antologica dell’architetto Franz Prati che questo pomeriggio inaugurerà nei suggestivi ambienti di Palazzo Grillo si incontrano quarant’anni di carriera, quatto decenni di idee, intuizioni e sinergie che simboleggiano la poliedricità del maestro.

Nasce così ‘La gioia della distanza’, la mostra curata da Antonio Schiavo, visitabile fino al 5 giugno prossimo, che non si limita a ripercorrere i progetti firmati da Prati ma esplora le interconnessioni profonde tra paesaggio, società e città attraverso uno sguardo unico e il tratto del maestro che ha fatto del disegno il cardine del suo processo creativo.

"Il titolo stesso, 'La gioia della distanza', racchiude il senso di questa antologica" racconta lo stesso Franz Prati, circondato dalle sue opere. "Non c'è un'autoreferenzialità diretta nella disciplina dell'architettura come unico punto di vista sul mondo. La mia operazione è sempre stata in bilico su un crinale tra l'architettura e diverse arti che convergono: la letteratura, la pittura, ma soprattutto il rapporto con la linea del disegno".

Per Prati, il disegno non è mera rappresentazione tecnica, ma uno strumento vivo di analisi, ricerca e persino prefigurazione dell'architettura, capace al contempo di descrivere scenari e possibili risposte alla contemporaneità in continua evoluzione. "Il disegno non ha l'esattezza del digitale - sottolinea -. Va interpretato, e questa interpretazione è un combattimento contro un'esattezza fasulla. Anche quando apparentemente geometrico, il disegno suggerisce un pensiero ulteriore, consapevole della trasformazione che ogni progetto subisce nel farsi costruito”.

La mostra si articola in quattro sezioni che scandiscono le fasi cruciali del percorso di Prati. Si parte dall'architettura degli anni '80, dove il disegno assume un ruolo significativo nella scelta di materiali con assonanze analogiche, accostando progetti distanti nel tempo ma dialoganti per forme e colori. Si passa poi al teatro, un'esperienza fondamentale che ha segnato un periodo di intensa attività a Roma, dalla fondazione del Gran Teatro con Carlo Cecchi alla collaborazione con figure come Elsa Morante e Luciano Damiani.

La terza sezione esplora il rapporto tra teatro e paesaggio, con un focus particolare sulla ricognizione del Parco degli Acquedotti a Roma, trasfigurato in un "Grande Teatro" popolato da frammenti architettonici antropomorfizzati. In questo spazio, emerge anche la collaborazione con l'artista Lu Tiberi e la genesi del tappeto "Mandalia", nato da una suggestiva narrazione letteraria e da una mostra romana e che si ritrova a fare da fulcro di questa sezione: “Questo tappeto è stato fatto fare a mano a Tabriz (in Iran n.d.r.) su un disegno chiamato Mandalia e si ricollega a una mostra allestita proprio al Canova 22,  associazione culturale che con Fiorenza d'Alessandro gestiamo nell'antica fornace di Antonio Canova. Si presumeva che, scavando tra le rovine per fare una nuova metropolitana, potessero saltare fuori dei pezzi di pietra che alludessero a una possibile città di fondazione, costruita per volontà di Settimio Marzio Mandalico, un imperatore della decadenza che mi sono inventato. Settimio, per i sette colli, Marzio per Campo Marzio e Mandalico perché voleva costruire una città di fondazione sua immagine e somiglianza e chiamarla Mandalia. Su questo frammento nasceva quella mostra e oggi, su quella scorta, si ricompone il disegno che diventa un tappeto”.

L'ultima sala, definita una "piccola wunder camera", è dedicata ai rapporti con la classicità, con opere recenti che riflettono sulle "mutevoli forme del classico" attraverso lo sguardo di Antonio Canova e sulla prospettiva teatrale di Piero della Francesca, culminando nell'evocativa "Stele della danza".

Infine, il visitatore giunge alla sezione dedicata al viaggio, un tema che si dipana da una riflessione sul degrado urbano romano, con l'ex ospedale San Giacomo di Roma che si trasforma metaforicamente in un'arca in viaggio verso "isole possibili". Questo percorso onirico, che affonda le radici in un viaggio a Creta e che parte da Genova e dalle suggestioni poetiche di Valéry, Campana e Coleridge, approda a una Venezia sognata, Lucenzia, in una continua deriva metaforica tra architetture naviganti e isole rocciose.

"La figura dell'architetto non è soltanto quella di colui che disegna e progetta una struttura - riflette Prati - C’è una correlazione inscindibile con il paesaggio. L'uno e l'altro non esistono se non insieme, in un passaggio metamorfico in cui l'architettura deve lasciare spazio a operazioni formali meno autoreferenziali e più etiche”. Questa affermazione si carica di una critica severa alle derive contemporanee dell'architettura, all'eccessivo narcisismo e alla mancanza di etica in alcune scelte progettuali. "Sono molto critico e allarmato su queste cose," confessa ancora Prati, auspicando un ritorno a un'architettura più sociale e meno autoreferenziale.

Il disegno, in questo contesto, assume anche il valore di un tentativo di ritorno alle origini dell'architettura, a una materia fluida capace di interpretare e trasmettere senza imporre un'unica verità. "È un lusso immenso, come quello del gatto che esplora i tetti" afferma Prati citando la poetessa e amica Patrizia Cavalli. "Un lusso che fa bene al cuore, al corpo, alla mente, alla vita stessa”.

Nel sottolineare il suo profondo legame con la Superba, dove ha abitato per quindici anni, non manca di puntualizzare: “Titolare di Franz Prati 'Amo Genova, ma è in decadenza’ non è assolutamente quello che ho detto. Anzi ho detto l'opposto, questo significa che la comunicazione oggi è uno dei problemi”. 

Un amore incondizionato per Genova, città in cui ha insegnato e diretto il Dipartimento di Progettazione e Costruzione dell’Architettura, che si manifesta anche con il pensiero critico di chi nota l’evolversi di dinamiche complesse come la gentrificazione che la città sta vivendo, senza però addentrarsi nel processo di turistificazione.  Esempio cardine è proprio la facoltà di Architettura dell’ateneo genovese, un’eccellenza che riassume le visioni architettoniche di mezzo secolo fa.

L’esempio architettonico di Gardella - racconta - è uno dei più importanti di una strategia urbana che sarebbe stata da riprendere e che riguarda l’infiltrazione urbana, ovvero una situazione di consapevolezza, anche programmatica, di sapienza dell’architetto e di cultura che riesce a inserire un oggetto che riverbererà reazioni. Questo è l’opposto dell’architettura della città di Aldo Rossi perché quella di Gardella è l’architettura nella città ed è una cosa splendida”.

Prati conclude: "Genova ancora non subisce, forse non subirà mai, un processo di turistificazione come accade in altre città. Non si dà subito, al contrario di Roma. Genova si ritrae, si deve scoprire e credo sia un deterrente per una gentrificazione esagerata che si potrà svolgere in alcune parti del centro storico ma quello è un turismo ignorante. Le persone non sanno praticamente nulla dei luoghi che visitano”. 

Nelle sue cinquanta opere, dunque, Prati lancia l’invito a esplorare l’universo creativo che è un insieme di complessità e fascino in cui il disegno diventa un linguaggio privilegiato per svelare legami invisibili e connettere le persone, lo spazio e il tempo lasciando che nella mente di chi osserva nascano spunti di riflessione critica sul presente e sul futuro.

Isabella Rizzitano

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