Pansoti al pesto, e fu così che esplosero i social. Metti insieme il piatto tipico, il condimento più sbagliato sempre stando alla tipicità, e lo storico rivale territoriale e l'accusa di appropriazione gastronomica non è nemmeno più un'ipotesi. Condanna diretta per direttissima. Questo è successo ad un ristorante, anzi una catena di ristorazione di Milano, finita protagonista di una tempesta social senza precedenti o quasi, per un piatto della cucina genovese. Gli anacardi nel pesto al posto dei pinoli o la panna per allungare la salsa, tutti spettri ridicoli rispetto a quello che è toccato in sorte alla catena di ristorazione specializzata in pasta fresca che ha avuto l'ardire di infilare nel menù i pansoti, conditi col pesto. Una doppia lesa maestà, o forse una trovata pubblicitaria a questo punto ben riuscita. Ma caduta vittima di una tempesta di commenti, tra l'insulto e il comico, via Tiktok e via social in generale.
Abbinamento certamente avventuroso di qua dall'Appennino, dove la sacralità del raviolo e quella del pansoto sono religione prima ancora che gastronomia. A percezione di genovese, lo stesso effetto dell'ananas sulla pizza. Ma c'è un ma. Perché anche qui, e tra di noi ce lo possiamo dire, l'uso e costume da qualche parte compare ed è comparso. E se c'è chi giura di aver assaggiato la combinazione e di averla trovata gustosa, anche qualche sagra rinomata specializzata nel raviolo, geolocalizzata nel primo entroterra, ha da anni in menù il raviolo al pesto.
Se la punizione divina è toccata in sorte al ristorante milanese, che per uscire dall'impasse ha dovuto promettere un mese di piatti gratis a chi si presenti con attestata origine genovese e ligure - certificata da carta di identità - per 'lavare l'onta', in parte può essere fatto imputabile alla storica rivalità tra costa ed entroterra. In parte ad un appiattimento del dibattito social. In fondo, se a qualcuno piace, che male c'è a proporlo? E' un'idea, non un precetto.
Basta non farlo passare per tipicità, come commenta l'esperto in materia che abbiamo consultato, vale a dire Sergio Rossi, aka il Cucinosofo, esperto di tradizioni e di cucina genovese e volto noto a Genova.
"Ci sono due aspetti differenti da cui vedere la faccenda - spiega - il primo simpatico e non filtrato, ormai sui social si può dire tutto, tutti possono dirsi esperti di cibo e commentare queste cose. E allora l'uscita più bella? Dire, bene: trasferimento in massa di genovesi con carta d'identità a Milano pronti a reclamare il piatto gratis. Altra cosa è essere onesti e parlare di ortodossia gastronomica, da sempre combattuta da personaggi illustri della città come il professor Rebora. Che però ci ricordiamo solo quando fa comodo".
E allora se si fosse detto che era una tipicità, condire il raviolo col pesto, sarebbe un altro conto. Ma su un raviolo di magro, "considerato che a casa sua ognuno fa come vuole, ma se fanno piacere conditi col pesto, non ci vedrei niente di così clamoroso".
Se era per ragioni pubblicitarie, l'operazione è perfettamente riuscita. "Io li ho assaggiati, e ci sono piaciuti - conclude - erano di magro. Il liberi tutti va bene per la casa, il ristoratore poi alla fine deve fare i conti. Ma proibire è una di quelle cose che vanno per la maggiore sui social".
"Poi - conclude - se vogliamo scherzare è bellissimo, i comici ci lavoreranno. Ma se vogliamo dirla tutta, non lo trovo questo scandalo, ci sarebbe altro di cui scandalizzarsi come quando capita di mangiare delle cose surgelate e di infima categoria e sentir dire che sono ottime. Siamo sicuri di essere così bravi a fare i critici gastronomici? Io non sono così bravo".














