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Attualità | 07 agosto 2025, 08:00

"Il Raggio Bianco": un noir sospeso tra realtà e visione

La visione iper-realista e al contempo astratta di Arturo Cirillo, unita alla musica "su misura" di Paolo Coletta, costruiscono un universo scenico dove luci, suoni e corpi diventano architettura dell’anima

Foto di Federico Pitto

Foto di Federico Pitto

Ha debuttato a Borgio Verezzi in prima nazionale "Il Raggio Bianco", testo di Sergio Pierattini, vincitore del Premio Flaiano 2006. Lo spettacolo vede in scena un trio di interpreti - Milvia Marigliano, Linda Gennari e Raffaele Barca - è un'opera dalle tinte noir e atmosfere claustrofobiche, all’interno di un appartamento della periferia milanese, fuori piove e il tempo si deduce.

Al centro della scena si snoda la complessa e spesso tesa dialettica tra una madre (Milvia Marigliano) e sua figlia (Linda Gennari). L'arrivo inatteso di un ragazzo, che si rivela un nipote o cugino, scompiglia ulteriormente i fragili equilibri. Tra piccolo malaffare, ricordi dolorosi e legami familiari patologici, la vicenda si muove verso un'inattesa conclusione.

Affidato alla regia di Arturo Cirillo e prodotto dal Teatro Nazionale di Genova, lo spettacolo si distingue per un approccio che fonde un iper realismo a momenti di astrazione. Cirillo ha scelto di ambientare la storia in una realtà molto concreta, ispirandosi a un suo precedente lavoro ("Le Cinque Rose di Jennifer") per creare una sorta di "isola stanza" o "isola casa". Questa casa è basata su una via reale di Milano, una scelta dettata dalla volontà di dare maggiore forza al testo e facilitare la comunicazione con il pubblico, evitando un'impostazione eccessivamente intellettualistica.

Prima di tutto - spiega Cirillo - mi sono chiesto se volevo ambientarlo in modo astratto o concreto. Ho scelto di ispirarmi a un precedente lavoro su un testo di Ruccello, Le Cinque Rose di Jennifer, dove un basso napoletano, una stanza, grazie al lavoro dello scenografo con cui collaboravo, d diventava un’isola - stanza. Anche qui abbiamo realizzato un’isola ma questa volta un’isola - casa in una via di Milano che esiste veramente. Lo scenografo, Dario Gessati, è stato in questa strada per cogliere le suggestioni”.

I protagonisti finiscono così dentro una realtà concreta che, a tratti, viene negata: “Dietro alle stanze compare un PVC che si illumina, si trovano dei laterali. La scena non è totalmente incorniciata dall’arco scenico, le luci per la maggior parte a vista si muovono su un filone realistico e a loro è affidato lo scorrere del tempo che si intuisce”.

La storia si svolge in tre giorni, spesso di notte e con la pioggia, e il regista, assieme al light designer Aldo Mantovani, ha ragionato sull’integrazione del titolo stesso ‘Il Raggio bianco’, che nel testo è una luce metafisica, quasi divina, simbolo di speranza in una vita altrimenti squallida e patologica: “Quando Anna, Milvia Marigliano, in scena ne parla, sembra quasi paragonarlo a Dio, quasi a dire che sia una sorta di lice di speranza in una vita piuttosto squallida, illegale”.

Le dinamiche sul proscenio sono spesso catalizzate dal rapporto anche molto malato che Anna ha con la figlia, Giulia: “Oltre a smettere di rubare, le due donne dovrebbero smettere di vivere insieme, non si fanno del bene a vicenda. Mi sono mosso quindi tra situazioni iper realistiche e momenti già astratti, portati dai cambiamenti di scena che, in qualche modo, sono gestiti dagli attori, che sono sia personaggi che elementi della messa in scena”.

Cirillo ha cercato di accentuare l'aspetto di "giallo" e le storie malavitose, seppur "artigianali", che caratterizzano i personaggi. L'arrivo del nipote o cugino, enigmatico per gran parte della narrazione, evoca relazioni simili a quelle di "Teorema" di Pasolini, capaci di sconvolgere il fragile equilibrio dei protagonisti.

Il nipote rompe l’equilibrio già molto fragile tra le due donne, confessa cose terribili che hanno rovinato anche i rapporti delle zia Anna con la sorella, sua madre”, prosegue Cirillo che ha lavorato con grande attenzione sulle dinamiche del terzetto Marigliano, Gennari, Barca, concentrandosi sull'ascolto e l'accordo per dare rilievo alle vicende di tutti e tre.

Milvia Marigliano, in particolare, offre un'interpretazione straordinaria, resa ancora più incisiva da un personaggio "cucito addosso" a lei, come nell’intenzione di Pierattini che disegna la sua Anna pensando a Milvia, che la porta a toccare corde che vanno dal comico al fastidioso.

“Il testo di Pierattini è scritto pensando a Marigliano. Si conoscono da molti anni e il personaggio le è molto congeniale. Conosce bene il linguaggio del Nord Italia anche se poi Pierattini, che ambienta il suo testo a Milano, è toscano. Le ambientazioni semi periferiche, piccolo borghesi, fabbriche, capannoni industriali sono richiami a una certa Milano sembrano richiamare Giovanni Testori”.

A incorniciare e arricchire questa complessa architettura scenica è il lavoro musicale di Paolo Coletta, il cui approccio è considerato unico nel panorama teatrale italiano. Coletta, compositore con un passato da attore, non compone le musiche prima delle prove, ma le "cuce" sulla scena, in un processo che definisce "su misura". Ha vissuto un mese con la compagnia, partecipando sin dal primo giorno di lettura e componendo durante le sette ore di prove giornaliere. La sua musica nasce dalle indicazioni del regista, del drammaturgo e, in modo cruciale, dalla "voce degli attori”.

Sono un musicista di scena e vivo delle indicazioni del regista, delle sue idee, di quelle del drammaturgo e, soprattutto, della voce degli attori. Il dato fondamentale è drammaturgico, quindi con l’azione scenica e questo deriva dal fatto che, per anni, ero sia attore in scena che musicista. Mi è successo con Lavia, con Cerciello, con Pugliese. Andavo dalle quinte in scena alla fonica e questo rapporto mi è rimasto”.

Questa simbiosi è fondamentale: la musica di Coletta si subordina e si intreccia all'azione scenica, che comprende sia il movimento che la voce. Le sue composizioni sono posizionate in fasce di frequenza medio-alte o medio-basse, per non intaccare la voce o l’ascolto degli attori, permettendo al pubblico di sentire il "tutto" e creando una perfetta "sincronizzazione" tra musica e interpreti. Un esempio di questa sinergia è il momento in cui Milvia Marigliano afferra il ragazzo che le ha portato via i gioielli, una sequenza costruita proprio in parallelo con la sua interpretazione. “L’abbiamo fatta insieme - aggiunge - è una specie di sincronizzazione”.

La musica di Coletta non è didascalica; non raddoppia il significato di ciò che accade in scena: “Avevo scritto un tema ispirandomi ai primi monologhi del personaggio di Giulia ma assecondava troppo. La mia musica di solito non doppia mai ma è critica, dialogica. Le citazioni che si possono cogliere, d’accordo con Arturo, hanno l’intenzione di evocare un mondo di suspance ma ironico”.

Accade così di ritrovare atmosfere Lynchiane, nella citazione da Angelo Badalamenti e dal film ‘Ascensore per il patibolo’: “Marigiliano è un’attrice molto ironica, straniante, per questo certi archi citano Hitchcock con il loro melodramma. Quando entra il nipote Matteo, il tributo è a ‘Vertigo’, quindi a Herman, che messo in un contenuto scenico e non filmico, diventa una specie di prestito che ha un valore drammaturgico e non sensoriale”.

E proprio la stretta collaborazione con Cirillo ha suggerito, per esempio, le suggestioni de La Pantera Rosa di Henry Mancini, per evidenziare l’aspetto ’giallo’ e il tema della delinquenza artigianale che si ritrova nella trama.

Per Coletta non manca certo il piano sensoriale ma tutto diventa a sostegno di chi è in scena; le citazioni, poi, sono un valore aggiunto ma non sono il cardine della questione: “Sono riferimenti che devono tenere alta la tensione scenica ma è un dialogo continuo tra tutti noi”.

Questa funzione dinamica interattiva eleva il suo lavoro a quello di un vero e proprio "quarto protagonista" dello spettacolo, un complimento che lo stesso Coletta reputa il più significativo. 

La regia di Arturo Cirillo, le luci di Aldo Mantovani, i costumi di Gianluca Falaschi e Anna Missaglia, la scena di Dario Gessati e la musica di Paolo Coletta, pur mantenendo i propri binari, convergono in un’opera unica di rara sintonia (Cirillo è un attore regista di personalità e i suoi spettacoli si ricordano a lungo, a partire da La scuola delle mogli di Moliére, proprio a Borgio Verezzi nel 2018 o Chi ha paura di Virginia Wolf insieme a Milvia Marigliano).

Il merito di Cirillo è stato quello di essere stato "molto chiaro" sulla direzione che intendeva prendere, lasciando a Coletta la libertà di inventare le sonorità. La musica di Paolo Coletta in "Il Raggio Bianco" non è mero accompagnamento, ma un elemento drammaturgico essenziale, che respira e interagisce con la scena, elevando la visione dello spettacolo a esperienza teatrale di livello superiore.

Tra febbraio e aprile 2026, lo spettacolo sarà in tournée. Dal 21 febbraio al primo marzo andrà in scena al Teatro Modena di Genova; sarà poi la volta di Torino, dal 17 al 22 marzo, al teatro Gobetti. Dal 26 al 29 marzo Il raggio bianco sarà rappresentato alla Sala Bignardi a Parma per poi terminare a Milano, sala Fassbiner dell'Elfo Puccini dal 7 al 12 aprile.
 


 

Isabella Rizzitano

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