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La musica che ci gira intorno | 30 agosto 2025, 08:00

La musica che ci gira intorno - Andrea Podestà, il professore che racconta la musica come letteratura

Scrittore, docente e voce della critica musicale, presenta i cantautori come autori di romanzi in musica. Dai vinili ascoltati di nascosto alla chiamata di De André, passando per la conduzione del Lilith Festival e la giuria del Tenco: “La curiosità è l’unico antidoto agli algoritmi”

Foto: Angela Ravaioli

Foto: Angela Ravaioli

‘La musica che ci gira intorno’ è il format de ‘La Voce di Genova’ dedicato alla scoperta e alla valorizzazione della scena musicale ligure, con un focus su artisti locali, eventi, nuovi talenti e le tradizioni sonore della nostra regione. Ogni settimana la musica sarà protagonista, in ogni sua forma e da ogni punto di vista. Qui troverai interviste agli artisti, le nuove uscite discografiche, gli appuntamenti per vedere concerti ed esibizioni live e spazio a chi, con la musica, ci lavora: dai produttori ai fonici, dai musicisti ai gestori di locali, teatri e spazi dove è possibile far sentire la propria voce.

Ci sono De André, Battisti, Cohen e Dylan. No, non è l’inizio di una barzelletta: sono gli artisti che hanno trovato casa fra le pagine scritte da Andrea Podestà, ascoltatore genovese curioso, scrittore, presentatore, giurato in premi di rilevanza nazionale e insegnante di Lettere all’Istituto Quinto Nervi. La musica è sempre stata una passione fin da ragazzo: “Ho tre fratelli più grandi - racconta - quindi in casa giravano tanti dischi. Quando c’erano ancora i vinili li prendevo di nascosto e li mettevo sul piattone”. Archiviato il sogno di diventare cantante, ha comunque iniziato “a strimpellare la chitarra. So fare qualche accordo, qualche giro, e so anche suonare l’armonica, come un De Gregori de noantri” scherza. Ma, accanto alla voglia di suonare, cresceva quella di raccontare le emozioni che la musica gli trasmetteva: “Intorno ai sedici anni ho iniziato ad allargare gli ascolti e a scrivere per il giornalino scolastico. Mi sarebbe piaciuto diventare un giornalista musicale. Poi mi sono reso conto che mi mancavano alcune competenze e la vita mi ha portato altrove: ho studiato Lettere, sono diventato insegnante, ma l’idea non è mai svanita”.

Uno dei momenti decisivi arriva all’università: “Grazie al professor Coveri, che insegnava dialettologia, scrissi una tesina su Crêuza de mä. Ero innamorato perso di De André, e con la mia ricerca giunsi a delle conclusioni nuove, perché pochi fino a quel momento si erano occupati di quell’opera. Quella tesina, attraverso una serie di coincidenze, arrivò proprio a De André grazie a suo nipote, con cui giocavo a calcio. Fabrizio ebbe la bontà di apprezzarla e mi telefonò: da lì nacquero contatti, tra cui quello con Piero Cademartori di Editrice Zona, che poi volle pubblicare un mio libro su De André. È stato il punto di partenza di tutto”.

Pur essendo oggi una delle voci più riconosciute a Genova, Podestà non si considera un critico musicale: “Il mio approccio è diverso, più globale. Mi interessa guardare a un lavoro come a un’opera letteraria, non soltanto alla musica. Questo deriva dalla mia formazione e dal mio mestiere di insegnante di Lettere: non recensisco basandomi sui comunicati stampa, li uso come spunto, ma devo ascoltare e riascoltare, farmi penetrare dal disco per poter dire qualcosa che sento davvero. Credo sia questa la mia particolarità”.

Dalle recensioni di dischi ai libri, il passo è stato breve: “Il mio primo libro su Fabrizio De André nasce da quel lavoro universitario. Erano tempi non sospetti, prima che esplodesse la “deriva deandreiana” che ha prodotto oltre centocinquanta titoli. Poi sono arrivati i lavori su De Gregori, ancora su De André con un libro monografico su Bocca di Rosa, e in collaborazione con Marzio Angiolani il volume sui cantautori genovesi. L’ultimo libro è stato quello che sognavo da trent’anni: quello su Lucio Battisti e Pasquale Panella, il mio amore viscerale”. Non mancano incursioni all’estero, sempre legate a De André: “Ho scritto su Dylan e Cohen, partendo da un lavoro di una mia ex allieva sul De André traduttore. Se mai scrivessi di uno straniero, sarebbe su The Wall e Roger Waters”.

Un’altra svolta, che lo porta a salire sul palco, è il Lilith Festival, che da anni lo vede conduttore insieme a Lisa Galantini: “Alla prima edizione ci andai solo come spettatore. L’anno dopo, quando c’erano Paola Turci, Cristina Donà e Marina Rei, le organizzatrici cercavano qualcuno che conducesse un incontro al Ducale. Chiesero a me all’ultimo minuto. Ero terrorizzato, ma andò bene e da lì è nata una collaborazione che dura tuttora. Sono la quota azzurra del Festival”. Il timore, confessa, è sempre quello di sembrare un “professorino”: “In realtà io cerco di raccontare più che spiegare. Non preparo lezioni: studio molto, ma poi lascio che sul palco emerga anche la parte ludica. Con Lisa improvvisiamo spesso sketch. Forse si vede la mia deformazione da professore: in classe faccio più casino io dei ragazzi, ma sono convinto che l’approccio ludico funzioni sempre”.

Andrea Podestà è giurato delle Targhe Tenco e socio del Club: “L’ho sempre definito il tempio laico della canzone d’autore, anche se negli ultimi anni il Premio ha vissuto un grande cambiamento, aprendosi anche a nuove realtà musicali. Questo, inevitabilmente, ha portato con sé qualche critica e qualche “mal di pancia”. La quantità di dischi proposti e gli uffici stampa che continuano a scrivere testimoniano quanto la Targa venga ancora riconosciuta come un premio dal valore reale. Non tanto, o non solo, in termini economici o di visibilità, ma soprattutto come segno di prestigio. È questo che la rende ancora oggi un faro importante. Tra tutti mi piace ricordare un artista che ci ha lasciati, Paolo Benvegnù: per anni se l’è meritata e, quando finalmente l’ha vinta, ha potuto goderne solo in parte. Eppure, pur avendo già un suo pubblico e un riconoscimento della sua grandezza, ricordo bene quanto per lui quella vittoria fosse importante, quasi una consacrazione”.

Sul futuro della musica apre una riflessione ampia: “La vera scommessa sarà l’intelligenza artificiale. Ha ancora senso oggi scrivere una canzone? Molti brani nascono già in studio da team di autori che lavorano insieme. Non c’è più il gesto del singolo che porta la sua canzone, ma un lavoro collettivo, quasi industriale. Non è un male in sé, ma cambia tutto”. Un cambiamento che riguarda anche la fruizione: “Gli algoritmi decidono cosa ascoltiamo. Io lo vedo su TikTok: se guardi un video per dieci secondi, vieni bombardato per giorni solo da quel contenuto. Un adulto riconosce il meccanismo, un ragazzo giovane no. Ecco perché insisto sempre, anche a scuola: dovete essere curiosi, sviluppare senso critico, non fermarvi a quello che vi viene proposto”.

Chiara Orsetti e Isabella Rizzitano

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