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Attualità | 04 dicembre 2025, 08:00

Ex Ilva, la tensione, lo sciopero e l'attesa. Manganaro: “Senza industria nessuna città ha futuro, nemmeno Genova”

L'ex leader della Fiom di Genova: "C'è un governo che non sa che fare, non sa dove andare e pensa solamente a come spegnere il gruppo ex Ilva in Italia senza pagarne i prezzi politici, però questo Genova non lo può accettare"

Ex Ilva, la tensione, lo sciopero e l'attesa. Manganaro: “Senza industria nessuna città ha futuro, nemmeno Genova”

"C'è bisogno di acciaio, tutti usano l'acciaio, dal telefonino alla sanità, all'automobile, all'aereo, al treno. Però sta passando un'idea balorda, per cui puoi avere i prodotti, ma non avere chi li produce. E alla fine una città non ha futuro, oltre ad avere i prodotti in questa città serve anche chi li produce, è la produzione da lavoro. Manca una proprietà, un'industria e mi sembra che manchino anche delle capacità politiche di capire che senza industria nessuna città ha futuro, Genova compresa".

Bruno Manganaro, per una ventina d'anni alla testa della Fiom di Genova, analizza quello che sta succedendo a Genova, nella città che oggi scenderà ancora in piazza per lo sciopero generale dei metalmeccanici che si stringono attorno ai colleghi dell'ex Ilva, nel periodo più buio della loro storia.

Il momento più nero almeno negli ultimi anni, mai così a rischio il futuro dello stabilimento di Cornigliano, con gli operai in sciopero permanente da lunedì e il clima sempre più teso fatto di risposte da Roma che non arrivano, rassicurazioni che non bastano e l'orizzonte che trema per almeno 1100 dipendenti più le loro famiglie, solo a Genova. 

Da oggi e domani, prima in piazza e poi ancora a Roma per la nuova convocazione al Ministero, passa non solo il futuro di un'acciaieria ma anche quello della siderurgia italiana, come ripetono lavoratori e sindacati, rimasti in strada un'altra notte all'addiaccio per chiedere una cosa sola: lavoro.

Oggi saranno tutti insieme, come fu per la Fincantieri nel 2010: in solidarietà con i colleghi ex Ilva, tutti i metalmeccanici di tutte le realtà industriali genovesi scenderanno in piazza, Ansaldo Energia, Fincantieri, Leonardo, per un fermo generale.

"Solidarietà che è nella storia di Genova e dei metalmeccanici, poi in particolare della Fiom - dice Manganaro - Il fatto che nei momenti di difficoltà delle aziende si costruisca intorno non solo un sostegno ma anche momenti di lotta comune, quindi è già successo per vicende come la Fincantieri, come l'Ansaldo. Ancora oggi serve questo atto di sciopero generale a cui altre categorie comunque garantiranno la loro presenza con le loro delegazioni a partire dalla Cgil, perché il messaggio da dare è giustamente che non è in discussione solo un posto di lavoro, un salario, una famiglia, è in discussione l'assetto produttivo di una città e quindi anche l'economia, il futuro della città stessa. A chiudere un'attività produttiva ci perdono in prima battuta quei lavoratori direttamente legati ma in futuro ci perde tutta una città e un'economia che si impoverisce".

Il frangente è complicato e anche il paragone con le mobilitazioni del passato risulta fuori fuoco. "Nella vicenda di Fincantieri ci furono centinaia e centinaia di ore di sciopero, occupazione della fabbrica, cortei a Roma, treni speciali ma in qualche modo, anche se in quel momento si pensava a una ristrutturazione nazionale, nella difficoltà si intravedeva una via di uscita. Questa volta è molto molto peggio - continua Manganaro - perché Ilva è commissariata e c'è un governo che non sa che fare, non sa dove andare e pensa solamente a come spegnere il gruppo ex Ilva in Italia senza pagarne i prezzi politici, però questo Genova non lo può accettare".

Da qui il clima di tensione crescente. "Un lavoratore come fa ad accettare l'idea che il  governo ti dica 'i soldi per farti sopravvivere per tre mesi mandandoti i rotoli ci sarebbero ma una normativa europea mi dice che non lo posso fare'? Una normativa impedisce di salvare il lavoro, salvare il tuo salario e anche la prospettiva industriale. Martedì si era chiesto questo minimo atto, tre mesi di lavoro, di rotoli che possono essere lavorati a Genova, che permettono di verificare fra tre mesi se c'è o non c'è un acquirente, oppure se c'è un'altra scelta del governo e che non può che essere la cosiddetta nazionalizzazione". 

E invece l'apertura non è arrivata. "Quello che c'è diverso dall'accordo di programma rispetto ad oggi - conclude Manganaro - è che anche lì ci furono tante chiacchiere sul futuro di Cornigliano. Alla fine però l'unica soluzione in quel momento la tirò fuori la proprietà, in quel caso Riva, che disse posso trasferire una parte delle mie produzioni a Taranto mantenendo i lavoratori e costruendo un percorso in cambio chiedendo garanzie e una concessione che dura 60 anni delle aree per continuare a produrre anche a Genova. Dall'altra parte c'era una politica che in modo più intelligente affrontò questa discussione, sia nel centrodestra che nel centrosinistra, perché il governo era Berlusconi, il presidente della regione era Burlando. E sia nel centro-destra che nel centro-sinistra iniziarono a discutere seriamente non solo con il sindacato, ma anche con una proprietà complicata e difficile come la famiglia Riva. Si discusse di merito e non di chiacchiere o di bugie come mi sembra che sia succedendo adesso. Quindi soggetti diversi volevano difendere l'industria e volevano difendere l'industria a livello genovese". 

Valentina Carosini

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