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Attualità | 26 dicembre 2025, 08:00

“Tondo de Dënâ”, il piatto che raccontava il Natale

Una tradizione quasi scomparsa, testimone delle antiche tradizioni genovesi e che racconta la comunità dedita alla condivisione nel segno della sobrietà per sperare in un futuro di abbondanza

“Tondo de Dënâ”, il piatto che raccontava il Natale

Oggi quasi del tutto dimenticato, il Natale genovese era caratterizzato da un gesto particolare: quello di mangiare tutto nello stesso piatto.

E se le malelingue sono pronte a sostenere che sia il risultato della solita (quantomai smentita) spilorceria genovese, questa antica usanza in realtà aveva un significato preciso legato alla lingua e alla cultura: è “O tondo de Dënâ”, il piatto del Natale.

Durante il pranzo natalizio, le portate non venivano servite una dopo l’altra in piatti diversi. Ravioli, pansoti, carni, dolci e avanzi delle preparazioni festive finivano nello stesso recipiente, creando un insieme eterogeneo di sapori. Un miscuglio che potrebbe definirsi, nel pieno dello spirito delle feste, come segno di abbondanza, condivisione e continuità.

Il “tondo” non era solo ciò che si mangiava a tavola, ma anche ciò che restava. Una volta terminato il pranzo, infatti, quel piatto colmo di avanzi veniva portato a casa, conservato, riutilizzato, condiviso. Nulla si buttava. In quel gesto c’era un’idea molto concreta del Natale, quella di una festa che non si esauriva in un solo giorno, ma continuava nei giorni successivi, nel rispetto del cibo e del lavoro che c’era dietro.

Cosa si trovava nel Tondo erano i sapori della gastronomia genovese come paste ripiene, cima o il cappon magro, il pandolce e i natalini, accompagnati da vini e sciroppi. Tutto insieme, senza gerarchie, come a dire che il valore non stava nell’ordine o nella presentazione, ma nello stare insieme.

Anche la parola “Dënâ” racconta molto di questa usanza. Deriva dal latino Dies Natalis, “giorno della nascita”, ed è attestata nel genovese già dal XIII secolo. Una parola antica, che porta con sé il senso profondo del Natale come momento fondativo, non solo religioso ma anche sociale e familiare.

Oggi il Tondo de Dënâ è quasi scomparso. Ne resta traccia nei racconti degli anziani, in qualche gesto che ancora si compie e nella memoria collettiva di una città che ha sempre avuto un rapporto concreto e rispettoso con il cibo. Ricordarlo non significa idealizzare il passato, ma riconoscere un modo diverso di vivere la festa senza forme ne apparenze ma con la voglia di condividere in modo profondo.

Isabella Rizzitano

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