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Attualità | 07 maggio 2020, 17:02

L'Arci genovese fra crisi e voglia di riscrivere la normalità oltre il virus

Una realtà da oltre 150 circoli e 24 mila soci nel capoluogo ligure, che gli effetti economici dell'epidemia rischiano di mettere in discussione. Kovac: "Associazioni dimenticate dalle istituzioni, non si leghi la socialità alla sola logica del profitto"

L'Arci genovese fra crisi e voglia di riscrivere la normalità oltre il virus

Una realtà molto presente e attiva sul territorio genovese è quella dell’Arci, che però ha subito pesantemente l’effetto della crisi coronavirus, visto che incentra la sua ragion d’essere nell'operatività sociale e culturale, quasi completamente fermata dall’epidemia. Le attività normalmente condotte hanno infatti subito stop e modifiche radicali, anche se la rete dei volontari non si è fermata, ma ha affrontato l’emergenza con rinnovata energia e solidarietà.

Il rischio concreto è quello di veder sparire un pezzo per volta questo patrimonio di cultura e partecipazione per mancanza di risorse, necessarie al pagamento di tasse, tariffe, affitti e stipendi, visto che le istituzioni sembrano ricordarsi di questa importante realtà solo a giorni alterni. Abbiamo deciso di fare il punto della situazione con il presidente di Arci Genova, Stefano Kovac

Quando ci riferiamo all'Arci Genova di quale realtà stiamo parlando in termini quantitativi? 

Stiamo parlando di 24 mila soci e 150 circoli, di cui circa un centinaio fa attività di somministrazione, ma ci sono le situazioni più varie. Ormai la realtà dei circoli è diversa da quella che potevamo immaginare anche solo dieci anni fa: oggi ci sono molte attività differenti dal classico circolo con bar e anziani che giocano a carte. C’è chi si occupa di bambini sotto varie forme e c'è chi ha numerosi dipendenti, come li hanno i bar. 

Quello che, pur nelle differenze, accomuna tutte queste realtà è forse la dimensione sociale, e di conseguenza la necessità di rimanere chiusi. Da questo punto di vista si può dire abbiano accusato tutti lo stesso grave colpo? 

Sì, anche se va fatta una precisazione. Non c’è mai stato l’obbligo di chiusura dei circoli in quanto tali, perché, in base al codice 'Ateco’, questi non sono mai rientrati nel novero delle chiusure certe; sono piuttosto le attività che in essi normalmente si svolgono ad essere state interdette. E’ stata vietata la somministrazione, sono vietati gli spettacoli, sono vietate le riunioni, le attività scolastiche, parascolastiche ed educative: insomma, alla fine, non è rimasta nessuna delle attività che ci caratterizzano e quindi in questo modo si è determinata una chiusura di fatto. 

La rete dei circoli di Genova tuttavia non è rimasta inerte di fronte all’emergenza... 

Sono state fate tante cose dai vari circoli nella loro autonomia e inventiva. Parliamo di sportelli per il supporto psicologico, attività di raccolta e distribuzione alimentare, anche in sinergia con altri soggetti organizzati, già da tempo impegnati in questo genere di attività solidale. Ci siamo serviti anche dei moderni strumenti digitali per mantenere il contatto con la comunità che frequentava i circoli, come ad esempio in occasione del 25 aprile, quando la nostra diretta ha raccolto 20 mila visualizzazioni su Facebook e 1200 su Youtube. Accanto a questo abbiamo collaborato con il Comune di Genova per la distribuzione dei buoni spesa: numerosi dei punti distribuzione in città sono stati gestiti dai volontari dei nostri circoli. Ci siamo occupati anche della gestione del numero verde: in questo contesto il terzo settore nel suo complesso si è trovato a gestire quasi 30 mila telefonate, e ha distribuito buoni spesa a 20 mila famiglie. Si tratta di numeri importanti, che credo dovremo rivedere la prossima settimana, perché prossimamente l'attività riprenderà e noi ci saremo come sempre. Questa vicenda, gestita a livello di puro volontariato, è la dimostrazione dell’importanza dell’associazionismo tutto, e di quanto si sia anche stati in grado di assumersi dei rischi, oltre che degli oneri. Un conto infatti è rimanere a casa, un altro è effettuare la consegna dei buoni pasto in strutture frequentate mediamente da 30 persone l’ora per 10 ore: ci sono volontari che hanno effettuato questo servizio per quattro giorni con un’assunzione di rischio personale non indifferente. 

Qual è invece la situazione che concerne la sopravvivenza dei circoli anche da un punto di vista economico? 

E’ un problema importante, e da un certo punto di vista è anche uno scandalo. Si tratta di una situazione fortemente sottovalutata dalle istituzioni, oggetto di una colpevole dimenticanza. Pensiamo ad esempio alla misura governativa di facilitazione per l’accesso al credito: allo stato attuale taglia fuori le associazioni. Consentire alle associazioni di sfruttare questo strumento, al pari delle aziende, non comporterebbe nessun sostanziale aumento delle cifre da stanziare, perché a Genova, considerando unicamente Arci, ci sono 150 circoli di cui solo meno della metà avrebbero necessità di un prestito. Le aziende che chiederanno prestiti agevolati saranno invece un numero duecento o trecento volte superiore, e con richieste individuali di cifre molto più alte. Secondo i rilievi che abbiamo fatto, un circolo in questo momento può avere bisogno di una cifra che si aggira intorno ai cinquemila euro per fare fronte a bollette, tasse e affitti relativi al periodo di chiusura forzata. Si tratterebbe di un aiuto tutto sommato poco gravoso per le istituzioni, semplice da realizzare, molto utile a salvaguardare queste realtà associative, ma che in effetti non è stato previsto. Una vera follia, soprattutto se pensiamo che si tratta di soggetti che per loro natura non fanno profitto, perché da statuto eventuali utili devono essere reinvestiti nelle attività sociali, e questo determina che i circoli non dispongano di riserve di capitale da mettere in campo in una situazione di grave e inaspettata crisi come l'attuale.  Abbandonare queste realtà al loro destino è doppiamente sbagliato, perché se dovessero sparire si creerebbe un danno a tutta la città: se non ci fosse l’associazionismo chi farebbe, ad esempio, la distribuzione dei buoni spesa? Il punto è che i volontari ci sono, e questa crisi lo ha dimostrato in maniera lampante, quando esistono dei soggetti che li organizzano e li tengono saldi tutti i giorni dell’anno. Sarebbe stato impossibile raggiungere gli stessi risultati facendo appello solo alla disponibilità della gente comune, visto che si sarebbe dovuti ricorrere ad un lavoro immenso di selezione e organizzazione delle persone. Grazie invece all'attività svolta in precedenza dalle associazioni, e dalle loro articolazioni territoriali, è stato possibile mettere in campo una forza straordinaria in maniera rapida ed efficace; e naturalmente non è un discorso valido solo per Arci.  

Quest’ordine di problemi è stato fatto presente ufficialmente alle Istituzioni? 

Abbiamo rappresentato questa criticità a ogni livello istituzionale possibile, dai Comuni al governo, ma al momento non abbiamo ricevuto nessuna risposta concreta, solo un sacco di promesse. Certamente fra un po’ le parole non saranno più sufficienti, e bisognerà passare ai fatti, altrimenti certi problemi diventeranno irrisolvibili e si rischia di determinare il danno irreparabile della chiusura. Noi chiediamo cose molto semplici e ragionevoli, come sospendere la tassa sulla spazzatura: si tratta di una richiesta concreta, il cui accoglimento dovrebbe essere naturale, visto che se i circoli sono chiusi, in effetti, non producono rifiuti. Almeno per questo periodo il tributo andrebbe sospeso.  

Quali sono le iniziative in cantiere per garantirvi la sopravvivenza? 

Stiamo lavorando a soluzioni più autoprodotte dal punto di vista dell’accesso al credito. Inoltre  conduciamo una attività di sensibilizzazione per la raccolta di fondi e per un tesseramento straordinario online: è di queste ore l’inizio di una campagna che ha proprio tale obiettivo. Poi stiamo portando avanti ulteriore attività politica di pressing nei confronti delle istituzioni. Proprio per venerdì 8 maggio abbiamo fissato un incontro con l’assessore Piciocchi del Comune di Genova, che, in qualità di assessore al patrimonio, non abitativo ha la competenza sugli immobili comunali in affitto ai circoli, oltre che sull’applicazione delle tasse comunali.  

I circoli Arci per molti sono sinonimo di cultura e musica dal vivo. Da questo punto di vista avete in mente iniziative e modalità per continuare a svolgere questo importante ruolo? 

Si tratta di un ambito dimenticato, anche da un punto di vista legislativo. Sia che si faccia musica dal vivo, sia che si faccia didattica musicale, attualmente l’attività si deve fermare. Per quanto invece riguarda la funzione di sala prove o sala di registrazione, fatte salve le misure di distanziamento sociale che devono sempre essere osservate, qualche spiraglio di ripresa più immediata potrebbe esserci. Dal momento in cui sono state alleggerite le norme che disciplinano lo spostamento delle persone nelle città, si può ragionare su come rendere possibili queste attività garantendo tutte le condizioni di sicurezza. 

Si potrebbe magari pensare a un progetto di radio di musica live diffuso o qualcosa di simile...  

In questo senso sui canali Facebook e Youtube di Arci Liguria ci sono degli esempi mirabili di cose fatte in isolamento. Ci sono complessi musicali e cori che si sono esibiti via Skype in occasione del 25 aprile, poi montati insieme grazie a un lavoro di post-produzione. Ovviamente, se parli con i musicisti, in molti ti spiegano che si rischia di portare avanti un’attività un po’ senz’anima, visto che il contatto con il pubblico genera energie e vibrazioni assolutamente insostituibili. Io credo comunque che l’iniziativa che abbiamo messo in campo per il 25 aprile ci abbia testimoniato che cosa si possa fare di buono. Credo anche che la scelta di uscire e parlare un pochino di meno con i media a inizio crisi, a fronte di un impegno maggiore nel portare tutti a un livello minimo di padronanza di strumenti multimediali,  abbia pagato: tanti dei nostri soci sono persone anziane, tipicamente più al di fuori della cultura digitale e comprensibilmente più restii di fronte alla tecnologia. Abbiamo investito parecchio sulla formazione e ora siamo in grado di fare cose con tutti in una maniera che non avremmo mai immaginato. 

Pensiamo invece al futuro prossimo, oltre la fase più stringente del distanziamento sociale. Possiamo pensare a cene e concerti tutti muniti di mascherina? Qual è lo scenario al quale stiamo andando incontro? 

Non lo so, si tratta di un tema sul quale deve riflettere complessivamente tutta la società italiana, visto che questa situazione durerà ancora a lungo, sicuramente per diversi mesi. Occorre prendere l'emergenza come occasione per reinventare ogni cosa: se ad esempio è vero quello che dice la ministra Azzolina, rispetto alla possibilità che i ragazzi possano frequentare le scuole una settimana sì e una no, si rischia la tragedia sociale anche per i loro genitori, che non sapranno come fare. Non è pensabile tornare a una situazione da secolo scorso, con uno dei genitori che si deve astenere dal lavoro per badare ai figli, né tantomeno si può pensare che ogni famiglia possa ricorrere massicciamente alle baby sitter, perché al di là di tutto non ci sono le risorse. Tutto questo ci chiede di ripensare il sistema, e se veramente i ragazzi dovessero andare a scuola ad intermittenza si apre un enorme spazio da colmare con l’inventiva dei circoli, con l’autorganizzazione, con la mutualità, organizzando magari iniziative che coprano questo bisogno per piccoli gruppi. Noi chiediamo flessibilità alle istituzioni e chiederemo anche a Piciocchi di capire che ci sono circoli con strutture adeguate alle nuove condizioni di utilizzo, come giardini o ampi spazi coperti, ma esistono molte realtà che non hanno questa fortuna. E' però certo che intorno a ogni circolo ci sono strade e piazze: bisogna superare certi tabù e rendere più semplice l’utilizzo delle aree pubbliche per favorire insediamenti associativi che sono un valore per tutta la città. Insomma, chi non ha spazi propri deve essere agevolato nell’uso degli spazi pubblici, pur in un contesto limitato nel tempo e nelle modalità.  

Potrebbe essere l’occasione di costruire un nuovo rapporto fra spazio pubblico e associazioni impegnate nel sociale... 

Vorrei che i nostri amministratori capissero chiaramente che il discorso  riguarda tutti: non possiamo basare tutta la socialità solo sulla logica del profitto. Ai commercianti delle agevolazioni sono state date, come la sospensione di tariffe e tasse nel periodo di chiusura. Si tratta di un’operazione legittima, ma voglio dire che chi si muove nella logica del bene comune piuttosto che del profitto dovrebbe almeno essere aiutato nella stessa misura. Inoltre va sottolineato che generalmente gli insediamenti associativi si trovano nelle aree di minor interesse commerciale: non ci sono circoli Arci in De Ferrari o in via XX Settembre, ma queste aree hanno un bisogno anche maggiore di socialità, perché Genova si sta trasformando sempre più solo nel suo centro, dimenticando le altre zone. 

L’orizzonte della normalizzazione di questa crisi è certamente piuttosto distante, e richiederà un complessivo ripensamento del sistema produttivo, in particolare in Liguria, dove settori in grande affanno come il turismo facevano la parte del leone. Quale potrà essere il ruolo dell’Arci e dei suoi circoli in questo processo? 

I circoli hanno sempre assolto un ruolo di laboratorio, dove spesso le persone si sono messe alla prova prima di lanciarsi in esperienze di carattere più propriamente imprenditoriale, in forma mutualistica o meno. Penso che questa funzione si possa rinnovare con la ripresa graduale dell’attività sociale grazie a una riscoperta dello spirito mutualistico; quando le persone ragionano insieme su come soddisfare i propri bisogni, ne escono fuori sempre delle cose interessanti. I circoli in alcuni casi hanno dei patrimoni sociali e immobiliari  forse di non grande valore economico, ma che sono in grado di dare vita a forme strutturate di ‘lavoro agile’, come si dice adesso. Si possono creare sinergie grazie all’uso in comune di reti migliori, di spazi che aggirano la necessità di organizzarsi l’ufficio a casa, stando confinati dentro quattro mura. Se poi davvero alla fine non si riuscirà a dare continuità all’offerta educativa della scuola, possiamo immaginare di rispondere in maniera mutualistica, ad esempio mettendo i circoli a disposizione di gruppi di genitori che a turno tengano i figli degli altri, o soluzioni simili: molti circoli avrebbero spazi adatti, dislocati in diversi quartieri della città. 

Carlo Ramoino

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