Un libro trovato per caso in un autogrill, la scrittura di uno degli eredi della famiglia Benetton, un titolo che evoca un movimento preciso, La Traiettoria. È da lì che prende corpo, per contrasto, La traiettoria calante, il monologo civile di Pietro Giannini sul crollo del ponte Morandi. Il lavoro, che ha debuttato al RomaEuropa Festival e ha già raccolto consensi e premi, tornerà a Genova il 13 agosto, a Palazzo Tursi, proprio alla vigilia del settimo anniversario del disastro.
Non è una data qualsiasi. E non è una sede neutra. È il cuore istituzionale della città, dell’amministrazione, che ha fortemente voluto la presenza dello spettacolo come gesto di continuità memoriale e civile, proprio mentre il processo per l’accertamento delle responsabilità è ancora in corso.
Lo spettacolo ha registrato il tutto esaurito in poche ore: duecento posti prenotati in meno di un giorno. Ma questo dato, pur eloquente, è solo la superficie di un lavoro che nasce da una tensione profonda, e da un’urgenza artistica e politica di rimettere al centro del discorso pubblico il senso del lutto, della responsabilità e della narrazione.
“L’ho letto per curiosità, il libro di Alessandro Benetton – racconta Giannini – e mi ha devastato. Era lì, in vendita sull’autostrada. Ho pensato: 'è questa la versione che resta sugli scaffali?’ Allora ho deciso di provare a raccontarne un’altra”.
Nato come studio di venticinque minuti nell’ambito di un progetto di studio, lo spettacolo ha attirato l’attenzione del Teatro Nazionale di Genova, che ha seguito la crescita drammaturgica fino alla versione attuale: un monologo di un’ora e un quarto, attraversato da momenti di lingua genovese, mappe emotive urbane, memoria personale e collettiva. Un gesto radicale che mescola affondo autobiografico e spirito corale.
“Il mio ultimo ricordo di Genova prima di trasferirmi a Roma è stato proprio quello legato al crollo del Morandi – racconta Giannini –. Ricordo la città, l’angoscia, il silenzio. Ho aspettato di avere gli strumenti giusti, poi ho cominciato a scrivere. Non è uno spettacolo che nasce per fare polemica, ma per fare memoria. Per raccontare”.
Un racconto che, soprattutto a Genova, viene portato con un’emozione particolare: “Quando sei in scena a Genova – dice – tutto è più carico, più difficile, più autentico. Anche solo nominare un quartiere richiede attenzione. Qui la gente sa, conosce, ha vissuto. Alla fine della prima replica genovese, davanti ai familiari delle vittime, sono crollato in camerino. Letteralmente. Mi sono steso sul pavimento per mezz’ora”.
Lo spettacolo non è pensato per essere conciliatorio, né militante. Ma esprime una volontà netta: impedire l’oblio, restituire spazio al dolore non ancora elaborato, sottrarre il tema alla narrazione unica. “Il teatro civile ha senso solo se riesce a restituire potere a chi lo ha perso”, dice Giannini. “E oggi il potere si misura anche nel diritto di raccontare”.
Il fatto che lo spettacolo venga ospitato da un’istituzione, in un luogo come Tursi, assume dunque un significato preciso. “È un riconoscimento importante, che mi ha emozionato. Non è uno spettacolo pensato per le istituzioni, ma ricevere attenzione dalle istituzioni, quando il tuo lavoro nasce da un’urgenza civile, fa la differenza. E poi è importante che sia gratuito: dev’essere per tutte e tutti”.
Nel segno di una città che ancora cerca parole, giustizia, memoria. E forse trova anche nel teatro uno spazio in cui nominarle.














