“Non me l’aspettavo”. È da qui che parte il racconto di Pietro Giannini, vincitore del Premio Ubu 2025 come miglior attore under 35. Una frase semplice, quasi disarmata, che restituisce immediatamente la misura con cui l’attore ha accolto uno dei riconoscimenti più importanti del teatro italiano. Nessuna posa, nessuna costruzione: solo la consapevolezza di essere molto giovane e di trovarsi, improvvisamente, sotto una luce più grande.
La sua è una storia di impegno, apertura e responsabilità. Dopo il diploma all’Accademia Silvio d’Amico a Roma e le prime esperienze, Giannini ha infatti costruito un percorso che va oltre il puro esercizio recitativo, dando voce a storie personali e collettive. Nello spettacolo La traiettoria calante, monologo di teatro civile scritto e interpretato da lui, ha ricostruito e raccontato i fatti che portarono al tragico crollo del Ponte Morandi, presentando lo spettacolo anche in una replica straordinaria a Tursi nel contesto delle commemorazioni del 14 agosto, nel cuore di Genova.
La traiettoria di Giannini non è dunque solo artistica, ma anche emotiva e civile: un monologo che si inoltra nelle ferite aperte di una comunità e le porta in scena con linguaggio essenziale e profondamente umano.
Accanto a questo impegno, Giannini ha interpretato ruoli di grande intensità, tra cui quello di Alan nella storica pièce Equus di Peter Shaffer, presentata al Teatro Eleonora Duse di Genova. Lo spettacolo, diretto da Carlo Sciaccaluga e messo in scena nel 2025, ritorna al Duse esattamente cinquanta anni dopo la prima nazionale diretta dal padre di Carlo, Marco Sciaccaluga, nel 1975: un ideale passaggio generazionale di cui Giannini è parte viva.
In Equus, opera drammatica che esplora le pulsioni più oscure e profonde dell’animo umano, Giannini è stato applaudito per la sua interpretazione intensa e tormentata, contribuendo a restituire allo spettacolo una potenza emotiva che ha coinvolto pubblico e critica.

"Ho pensato: è già andata benissimo la nomination”, racconta. “Ne ho potenzialmente ancora dieci per vincere l’under 35”. La vittoria arriva invece subito, e con essa non l’euforia, ma un sentimento più complesso: "la reazione successiva è stata un’ansia pazzesca, perché sento molto il peso”. Un peso che Giannini non rifiuta, anzi: “penso sia anche una forma di rispetto”.
Quel rispetto diventa gesto concreto durante la cerimonia, quando sale sul palco con una maglietta bianca, una scritta nera netta: Il teatro è del popolo. Uno slogan che non nasce per colpire, ma per ricordare. “Lo spirito della maglietta - spiega - era soprattutto quello di ricordarmi il motivo per cui io ero lì. C’è sempre qualcosa di molto più grande di me, che è il teatro stesso e che sono le persone”.
Nelle sue parole, l’idea di “teatro del popolo” si allontana da ogni semplificazione ideologica. Giannini rivendica il valore del teatro pubblico come spazio della comunità, senza contrapposizioni sterili: “Incentivare solo il teatro privato presuppone l’eliminazione del teatro pubblico. Incentivare di più il teatro pubblico non presuppone l’eliminazione del teatro privato”. È una visione che guarda alla storia, a figure come Paolo Grassi, e che restituisce al teatro la sua funzione originaria: “un luogo delle persone, dove la comunità si rispecchia”.
Il giorno dopo la vittoria, però, non c’è stato tempo per celebrare. Giannini è ripartito nella notte e la mattina successiva era in scena a Genova, davanti a centinaia di studenti e studentesse. Non ha detto nulla del premio, quel che conta è lo spettacolo, ‘La traiettoria calante’ dedicato alla tragedia del Ponte Morandi. E qualcosa accade: “Penso sia stata la replica più bella mai fatta nella mia vita. Non ho mai recitato così bene”. Un pubblico attentissimo, nessun telefono acceso, un ascolto totale. “Sono stati un pubblico straordinario”.

Solo alla fine, quando sono rimasti in pochi, ne ha parlato. “Ho vinto un premio che si chiama Premio Ubu”. I presenti si sono entusiasmati, non sono mancati gli abbracci e le congratulazioni. È stato un momento semplice, ma rivelatore. “Secondo me è lo slogan più bello anche di serietà rispetto a quello che si fa”, ha raccontato, riferendosi a quel passaggio diretto dal palco della premiazione a una platea scolastica alle dieci del mattino.
Il cuore del suo percorso, però, sta forse tutto nel discorso pronunciato durante la cerimonia. Una dedica che non guarda al passato, ma al senso stesso del fare teatro. “Il teatro mi ha salvato la vita”, afferma senza esitazioni. Il premio lo inorgoglisce, certo, ma “come tutte le cose da grandi poteri derivano grandi responsabilità”. Da qui la scelta di fare una promessa pubblica: “Desidero dedicare la mia vita tutta al teatro, sperando di essere all’altezza”. E ancora: “Voglio dare al teatro la versione migliore di me, sperando di riuscire a trascendere tutti i miei difetti”.
Parole che arrivano fino in fondo, senza difese: “Spero di morire in teatro. Spero che l’ultima cosa di cui parlerò sarà uno spettacolo teatrale". Non una frase a effetto, ma una dichiarazione definitiva, pronunciata con la naturalezza di chi ha già scelto.

Sul futuro, Giannini resta volutamente cauto. Ci sono idee, desideri, possibilità che si affacciano, ma nessuna ansia di definire tutto subito. Prima di tutto, la volontà di continuare a lavorare, di fare teatro con serietà, di restare fedele a quel rapporto vivo con il pubblico che considera essenziale. “Il teatro mi regala sempre dei bagni di umiltà giustissimi”, dice. “Che in realtà non sono bagni di umiltà, sono bagni di quello che deve essere”.
Il Premio Ubu a Giannini certifica un talento evidente, soprattutto mette in luce una postura rara: quella di un artista giovanissimo che sceglie la responsabilità invece dell’autocompiacimento, l’ascolto invece della distanza. In una società che vuole velocità e visibilità, Pietro Giannini sceglie di restare nel teatro, con il teatro e per il teatro, quindi ‘con il popolo’.



















