‘La musica che ci gira intorno’ è il format de ‘La Voce di Genova’ dedicato alla scoperta e alla valorizzazione della scena musicale ligure, con un focus su artisti locali, eventi, nuovi talenti e le tradizioni sonore della nostra regione. Ogni settimana la musica sarà protagonista, in ogni sua forma e da ogni punto di vista. Qui troverai interviste agli artisti, le nuove uscite discografiche, gli appuntamenti per vedere concerti ed esibizioni live e spazio a chi, con la musica, ci lavora: dai produttori ai fonici, dai musicisti ai gestori di locali, teatri e spazi dove è possibile far sentire la propria voce.
"Ciao, io sono Niro. Nome d’arte, sì, ma in realtà è una specie di abbreviazione affettiva. Mi chiamo Niroshan, e da sempre tutti mi chiamano così: Niro". Una semplicità che rimane, la gentilezza nella voce e l’idea di farsi conoscere ‘senza urlare’. Niro fa parte di quegli artisti che fanno parte della prima scuola Indie, autori e compositori che, più che il successo, inseguono il senso e che sanno dare una forma tutta nuova all’incertezza, facendola diventare musica che emoziona.
Classe 1993, la storia di Niro è una storia che inizia come tante: una vecchia chitarra da 30 euro dimenticata sopra un armadio, la curiosità di mettersi a strimpellare a 11 anni, e poi le prime lezioni, le cover band adolescenziali come quelle dei “Green Day, Muse, Rage Against The Machine... uguale al 99% dei ragazzi”, fino alla voglia di scrivere qualcosa di proprio.
“A scuola scrivevo bene i temi, me lo diceva la prof. E allora ho pensato: perché non provare a scrivere anche canzoni? All’inizio in inglese, per pudore. Poi sono passato all’italiano, quando ho trovato il coraggio”. Nel 2015 esce il suo primo EP, Chimere, autoprodotto e distribuito ovunque. Oggi quell’EP non è più disponibile in streaming. “Non tanto perché non mi piacessero quei pezzi – confessa – ma perché oggi li vedo come parte di un passato acerbo. Tutto fatto in cameretta, in casa, e oggi mi viene difficile mostrarli a chi non mi conosce. Magari un giorno li rifarò bene”.
Dopo Chimere, arriva un periodo di pausa, quasi cinque anni di silenzio creativo. Niro si trasferisce a Genova per lavoro, smette di scrivere. “Non avevo tempo, né voglia, né fantasia”, racconta. Ma nel 2020, poco prima della pandemia, qualcosa cambia. “Sono uscito con una ragazza. Non è stata una storia romantica, ma un incontro che mi ha riacceso la voglia di raccontare. Quella scintilla lì mi ha rimesso in moto".
E proprio in pieno lockdown, come per molti altri artisti, l’isolamento diventa fertilità. Scrive, registra a casa, arrangia. “Mi sono costruito tutto in autonomia: chitarre, synth, tastiere, voce, basso. Poi il mix e il mastering li ho fatti fare a un mio amico a Mondovì. È stato un processo lungo, ma intimo. Ogni pezzo è cresciuto piano, come un seme piantato in un giorno qualunque”.
Il risultato è Perso nel blu, un EP di sei brani uscito nel marzo 2025. “Non è un concept album, ma un piccolo insieme di canzoni che parlano di me, e un po’ degli altri. Il titolo riflette l’incertezza che vivo: Genova non è casa mia, ma ci sto. Non so ancora per quanto. Il blu rappresenta il mare, la città, la confusione. Il personale è quello che provo. È un disco fatto di domande, non di risposte”.
Canta e suona con un approccio cantautorale moderno, tra indie-pop e intimità acustica. Le influenze? Tante, e trasversali. “Ascolto di tutto, da Bon Iver a Bianco, da Brunori a Dente, da Mannarino a Daniele Celona. Non c’è un artista che ‘copio’, ma tanta musica che mi resta addosso. Magari sento un modo di scrivere o cantare e lo assorbo, poi riemerge. Senza forzature”.
Niro è uno di quei cantautori che ama suonare dal vivo. Lo ha fatto recentemente anche al Sofar, uno spazio dove il pubblico non sa chi suonerà finché non sale sul palco. “È uno dei pochi posti dove la musica è davvero al centro. La gente viene per ascoltare, non solo per bere. È stato bello passare da spettatore a artista”. Eppure, oggi fare musica è anche fare i conti con numeri, algoritmi e assenza di dischi fisici. Niro lo sa, e lo accetta.
“Una volta avevi il vinile, lo compravi, lo conservavi. Oggi hai Spotify e qualche like. Ma se scrivi perché ti piace, non per emergere, allora ha comunque senso. Io ho capito che non devo rincorrere niente. Faccio musica per stare bene. E quel che viene, viene”.
Il futuro? Altre date, tra Torino e forse Genova, se qualche proposta si concretizzerà. Poi, perché no, un giorno potrebbe arrivare qualche maglietta, spilla o vinile, per rievocare un tempo in cui la musica era anche tutto questo. Tutto, però, con calma, senza ansia da prestazione.
"Alla fine, ho imparato a ridimensionare i miei obiettivi. Non è una resa, ma una presa di coscienza. Non faccio canzoni per diventare famoso. Le faccio per sentirmi vivo. E se qualcuno ci si riconosce, meglio ancora”.