Appena si varca la soglia del museo del Tesoro di San Lorenzo, allestito nel 1956 da Franco Albini all’interno degli spazi della Cripta della Cattedrale, si resta senza fiato nell’ammirare l’intersecarsi degli oggetti di oreficeria e l’arredo liturgico, che si mostrano grazie a uno degli esempi migliori di museografia moderna.
E proprio in uno di questi cinque ambienti, molti dei quali ripropongono le opere di devozione a San Giovanni Battista, patrono della città, è esposto un oggetto che da sempre è tra i più venerati dei genovesi e non solo: il Sacro Catino.
La storia di quest’oggetto si intreccia con la leggenda, con la fede e con il fascino che lo stesso esercita, persino sugli scienziati.
Secondo la tradizione cristiana, questo bacile sarebbe stato utilizzato da Gesù durante l’Ultima Cena. A portarlo a Genova sarebbe stato poi Guglielmo Embriaco, detto ‘Testa di maglio’ condottiero a capo della Prima Crociata. Fu lui, nel 1101 a guidare i soldati genovesi alla conquista di Cesarea, entrando così in possesso del prezioso oggetto.
Divenuto sin da subito oggetto di venerazione, il Sacro Catino divenne ben presto bersaglio di chi voleva impossessarsene e i tentativi di furto non mancarono mai.
Nel 1409 il governatore francese Boucicault tentò invano di trafugarlo. Per allontanarlo dalla città ci volle un certo Napoleone Bonaparte che, nel 1806, riuscì a portarlo a Parigi.
Restituito alla città di Genova in frantumi, venne restaurato più volte, l’ultima delle quali nel 2017.
Proprio i tentativi di restauro hanno offerto a tecnici, storici dell’arte e restauratori la possibilità di osservare da vicino quest’oggetto.
Il vaso esagonale di materiale trasparente verde brillante, per secoli si credette fosse di smeraldo. Studi scientifici condotti dall’Académie des sciences dell’Institut de France hanno poi evidenziato che si tratta di cristallo bizantino mentre analisi più recenti lo classificano e lo datano come manufatto islamico del IX-X secolo.
Attorno a questo manufatto rimane intatta la leggenda: c’è chi crede che si tratti del piatto in cui il Messia ha consumato l’ultima cena prima della sua Passione, c’è chi invece pensa si tratti di una copia, posizionata per nascondere il vero catino e proteggerlo, c’è chi lo vede come una testimonianza antica dell’arte manifatturiera bizantina ma per tutti rimane un oggetto capace di affascinare ogni sguardo, solleticando la fantasia e la devozione.