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Meraviglie e leggende di Genova | 07 dicembre 2025, 08:00

Meraviglie e leggende di Genova – Perché si dice “Che l’inse?"

Dalla pietra del Balilla che incendiò la rivolta del 1746 alle voci di oggi: la storia di un grido che appartiene ai genovesi da quasi tre secoli

Ci sono molti modi di dire che attraversano il tempo. 

Basti pensare a quante volte si sente dire ancora oggi ‘Paganini non ripete’ o ‘è caduta una bagascia in mare’.

Frasi che hanno origine lontana di cui spesso si ignora la genesi ma che rievocano una storia secolare.

Tra questi non si può non citare “Che linse?”, espressione che ha quasi trecento anni e che racchiude l’essenza di Genova.

Era il 5 dicembre 1746, quando un bambino di undici anni, Giovan Battista Perasso detto Balilla, lanciò la prima pietra contro le truppe austro-piemontesi in piazza Portoria.

Quel gesto, raccontato dalle cronache e ricordato nella memoria cittadina, fu la scintilla che accese una rivolta popolare capace di scacciare l’occupazione straniera durante la Guerra contro l’invasore austriaco. “Che l’inse?”, interpretato come “Che linseguiamo?” o “Che la cominciamo?”, sarebbe stato il grido che precedette il lancio, un invito alla ribellione, un incoraggiamento a trasformare un malcontento collettivo in un’azione concreta.

Da allora, ogni 5 dicembre, in piazza Portoria, Genova rievoca quel momento: corone d’alloro al monumento, gruppi storici che ricostruiscono l’episodio, studenti delle scuole invitati a riscoprire un frammento decisivo della propria identità. A ricordarlo sono le iniziative del Comune, le associazioni culturali, la storica A Compagna, custode della tradizione ligure.

Nel secolo successivo quel grido continuò a levarsi. Nel periodo del Risorgimento, “Che l’inse!” divenne simbolo di risveglio patriottico. Non a caso, nel 1847, Goffredo Mameli levò il tricolore al Santuario della Guardia durante lo “scioglimento del voto”: la città che aveva osato sfidare gli occupanti tornava a essere faro d’Italia.

Accade però che simboli importanti per la comunità vengano piegati alle esigenze del potere. Successe nel 1926 quando il motto fu inglobato dall’Opera Nazionale Balilla, l’organizzazione giovanile del regime fascista. Per un decennio fu legato all’educazione paramilitare dei ragazzi, fino al 1937. Una parentesi che non ne cancellò però il significato originario: la Genova del dopoguerra lo recuperò come emblema di resistenza e memoria.

Per molti anni “Che linse!” fu anche il nome di un’associazione genovese attiva nella promozione della storia locale. Collaborava con il Comune alle cerimonie in piazza Portoria, curava attività per le scuole, installazioni commemorative, momenti culturali dedicati al Balilla. Una realtà molto radicata, che si è sciolta il 31 dicembre 2020. Ma il motto, orfano di sigle e strutture, è rimasto nel patrimonio collettivo.

Oggi “Che l’inse!” riappare nei momenti di tensione sociale, nei cortei, nelle assemblee cittadine, nelle battaglie dei lavoratori. Pochi giorni fa era la frase che campeggiava sullo striscione che aria i cortei dei lavoratori Ex Ilva di Cornigliano.

‘Che l’inse’ non è altro che un riconfermare Genova come città che non si arrende, che chiede ascolto ma che sa fare il primo passo verso il cambiamento.

Isabella Rizzitano

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