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Attualità | 22 aprile 2025, 14:30

Morte di Papa Francesco, il ricordo del parroco di San Siro di Nervi: “Tema dell’immigrazione gli è sempre stato a cuore perché lo ha vissuto direttamente”

La famiglia Bergoglio lasciò l’Italia negli anni Trenta per salpare dal porto di Genova verso Buenos Aires in cerca di fortuna. Don Valentino Porcile: “Un grande uomo, a prescindere dall’abito”

Foto Facebook Valentino Porcile

Foto Facebook Valentino Porcile

"Il Santo Padre è figlio della dinamica dell'immigrazione e proprio per questo è un tema che gli è sempre stato particolarmente a cuore, perché lo ha vissuto direttamente": così afferma il Parroco della Chiesa di San Siro a Nervi, Don Valentino Porcile, ricordando durante l'intervista proprio come la famiglia di Papa Francesco, deceduto ieri alle ore 7.35 a causa di un'ictus all'età di ottantotto anni, fu una delle tante che emigrò negli anni '30 in Sudamerica in cerca di fortuna, partendo dal Piemonte per poi arrivare a Genova e partendo proprio da qui. 

Il padre di Papa Francesco, Mario Bergoglio, salpò da Genova imbarcandosi sul transatlantico Giulio Cesare che arrivò a Buenos Aires il 15 febbraio del 1929, all'età di ventuno anni, insieme a tante migliaia di altri emigranti partiti in quegli anni per l'Argentina. 

Durante il suo pontificato, il Santo Padre si è sempre battuto sul tema dell'immigrazione e dell'accoglienza dei migranti da parte dei Paesi Europei, definendo la gestione dell'accoglienza 'criminale', che prevedeva accordi con paesi al di fuori dell’Unione per bloccare i migranti e impedire loro con la forza di fare richiesta d’asilo in Europa: "Il Papa è stato figlio di questa dinamica dell'immigrazione, e avendolo vissuto in prima persona, certamente si è sempre sentito coinvolto direttamente - prosegue Don Porcile -. Quello che sta dietro alla sua forza dirompente su questo tema, non era solo l'immigrazione in sé ma quanto le motivazioni dietro. A me, personalmente, ha colpito quando al Santo Padre sono state fatte vedere delle immagini di violenze e torture in determinati paesi e lui ne ha tempestivamente parlato pubblicamente: questo è stato il segno di quanto in lui si sia acuito ancora di più di denunciare la situazione, rendendosene conto e facendo sentire la sua voce ancor più forte di prima". 

Tra i ricordi che legano Don Porcile al Papa, i due incontri: il primo ad Amatrice, il secondo a Santa Marta. "Io ho avuto il dono di incontrarlo da vicino in queste occasioni - racconta -. La prima, ad Amatrice il 4 ottobre 2016 entrando assieme a lui nella scuola con i bimbi e i ragazzi passando del tempo insieme. Poi, ancora più toccante, è stato nel gennaio del 2017 quando ho avuto la possibilità di concelebrare presso la cappella di Santa Marta dove ora lui è attualmente esposto; mi fa effetto, onestamente, vederlo proprio nel punto esatto in cui ero seduto ai tempi". 

E poi, il ricordo del Santo Padre che Porcile definisce come "un grande uomo, a prescindere dall'abito che ha indossato": "Una grande persona, che è riuscita a non dimenticare da dove è venuta nonostante la carica che è stato chiamato a ricoprire - racconta -. Non ha mai smesso di essere quello è stato prima, andando dall'ottico personalmente, o prendendo il bus come faceva in Argentina. La semplicità di un uomo al quale il potere non ha dato alla testa, che non gli ha fatto dimenticare le sue origini e questo le persone comuni lo hanno sempre sentito". Un uomo che, da sempre, ha dedicato la sua vita alle persone, ai più deboli, recandosi nelle favelas, in mezzo ai poveri. 

Spiritualmente parlando, per Don Porcile il Santo Padre è "l'incarnazione della misericordia e non dimenticherò mai il suo desiderio di non far mancare Dio a nessuno - chiarisce -. Dio ama tutti e tutti possono ricevere dio nella propria vita se lo vuole, affermava, sfidando anche certe teologie particolari, facendo, per così dire, saltare certi schemi". 
 

Federico Antonopulo

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